Mappato lo stato di avanzamento dei progetti in Europa: pochi i Paesi virtuosi, il roll out sta procedendo al ralenti rispetto alle roadmap annunciate e auspicate da governi e compagnie di Tlc. Previsti investimenti fino a 400 miliardi di euro ma sarà difficile la crescita del Pil stimata in 1.000 miliardi in quattro anni
Sugli obiettivi di roll-out del 5G al 2025 i Paesi europei sono in ritardo. Con alcune eccezioni “virtuose” tra cui l’Italia, uno degli undici membri dell’Unione europea che hanno proceduto spediti e hanno maggiori probabilità di centrare i target previsti. Lo afferma la Corte dei conti europea nella Relazione speciale 3/2022, intitolata “L’introduzione del 5G nell’Ue: vi sono ritardi nel dispiegamento delle reti e le questioni di sicurezza rimangono irrisolte”(SCARICA QUI IL REPORT).
Nel piano d’azione del 2016 la Commissione europea ha fissato al 2025 il termine ultimo per il dispiegamento del 5G in tutte le aree urbane e tutti i principali assi di trasporto. Nel marzo dello scorso anno ha fissato un ulteriore obiettivo: realizzare la copertura 5G dell’intera Ue entro il 2030. Tuttavia, la Corte rileva che solo metà degli Stati membri hanno incluso questi obiettivi nelle rispettive strategie nazionali in materia di 5G. E sottolinea il potenziale rischio di allargare il digital divide.
Il report individua un’altra area di attenzione: la sicurezza dei fornitori, soprattutto in ottica di protezione dei dati.
Roll-out del 5G, l’Italia tra i Paesi più avanti
Tutti gli Stati membri (tranne Cipro, Lituania, Malta e Portogallo) hanno raggiunto l’obiettivo intermedio del 2020 di avere almeno una grande città con accesso al 5G, rileva la Corte dei conti Ue. Molti paesi dell’Ue sono però rimasti indietro con il dispiegamento delle rispettive reti 5G. La Commissione ritiene che, per 16 paesi dell’Ue, la probabilità di raggiungere l’obiettivo del 2025 sia, nella migliore delle ipotesi, media (Austria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Slovenia) e, nella peggiore delle ipotesi, bassa (Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro e Grecia).
L’Italia è nella rosa dei Paesi che hanno una probabilità “alta” di raggiungere i target, insieme a Danimarca, Spagna, Francia, Lettonia, Lussemburgo, Ungheria, Romania, Slovacchia, Finlandia e Svezia. Il buon posizionamento dell’Italia si lega all’assegnazione delle bande pioniere del 5G: 700 MHz, 3,6 GHz e 26 GHz.
A rischio il raggiungimento degli obiettivi europei 2030
Ma, osserva la Corte, al novembre 2021, 23 Stati membri non avevano ancora recepito la direttiva dell’Ue che, tra le altre cose, fissa termini ultimi per l’assegnazione delle bande pioniere per il 5G. Con l’attuale ritmo di attuazione, sottolinea la Corte, è molto probabile che gli obiettivi fissati dall’Ue per questo decennio non verranno raggiunti.
La Commissione ha aiutato gli Stati membri a raggiungere questi traguardi, si legge ancora nel report, ma non mai definito in modo chiaro la qualità attesa dei servizi 5G. Ciò, sottolinea la Corte, potrebbe condurre a disuguaglianze nell’accesso e nella qualità dei servizi 5G nell’Ue, ampliando ulteriormente il digital divide.
Le questioni di sicurezza e il mercato unico
Parallelamente sono necessari ulteriori sforzi per affrontare in modo coerente e concertato le questioni di sicurezza relative al roll-out del 5G.
Il 5G fornisce molte opportunità di crescita, scrive la Corte dei conti europea, ricordando che il 5G potrebbe far crescere il Pil dell’Ue fino a 1.000 miliardi di euro tra il 2021 e il 2025. Ma comporta anche alcuni rischi: il numero limitato di fornitori in grado di costruire e gestire reti 5G accresce la dipendenza e i rischi associati all’ingerenza da parte di “attori statali ostili”.
“Nell’Ue verranno spesi fino a 400 miliardi di euro entro il 2025 per sviluppare reti 5G a sostegno della crescita economica e della competitività future. Ma poiché molti Stati membri sono rimasti indietro, l’Ue è ancora lontana dal cogliere i benefici offerti dal 5G”, ha dichiarato Annemie Turtelboom, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “Inoltre, gli approcci seguiti dagli Stati membri in materia di sicurezza del 5G, ed in particolare la necessità di un’azione concertata, restano questioni di importanza strategica per la sovranità tecnologica dell’Ue e per il mercato unico”.
I fornitori non-Ue: faro sulla protezione dei dati personali
I fornitori facenti capo ai paesi dell’Ue sono tenuti a rispettare le norme e gli obblighi giuridici dell’Ue. Ma sei degli otto maggiori fornitori, ad esempio Huawei (Cina) e Samsung (Corea del Sud), non hanno la propria sede principale nell’Ue. Nei paesi non-Ue, la legislazione può differire notevolmente dalle norme dell’Ue, ad esempio in termini di protezione dei dati personali. La Corte teme che gli utenti dell’Ue possano essere soggetti a normativa non-Ue laddove i centri di controllo siano ubicati al di fuori dell’Ue.
Quando la sicurezza del 5G è divenuta una delle principali preoccupazioni a livello dell’Ue, la Commissione ha reagito rapidamente: il “pacchetto di strumenti dell’Ue sulla cybersicurezza del 5G” è stato adottato nel gennaio 2020. Ciononostante, era già troppo tardi per alcuni gestori di reti mobili che avevano già scelto i propri fornitori.
La Corte osserva anche che, nonostante la natura transfrontaliera dei timori circa la sicurezza del 5G, vi sono poche informazioni disponibili al pubblico sul modo in cui gli Stati dell’Ue affrontano le questioni di sicurezza, in particolare per quanto concerne la problematica dei fornitori ad alto rischio. Ciò rende difficoltoso per gli Stati membri seguire un approccio concertato e limita anche le possibilità per la Commissione di proporre miglioramenti alla sicurezza delle reti 5G.
La Corte ha constatato che nella pratica, poiché le misure contenute nel pacchetto di strumenti non sono vincolanti, gli Stati membri seguono approcci divergenti riguardo all’utilizzo di apparecchiature di fornitori specifici o alla portata delle restrizioni imposte ai venditori ad alto rischio. Per di più, se gli Stati membri dovessero escludere i fornitori ad alto rischio dalle proprie reti senza che venga previsto un periodo di transizione, ciò potrebbe generare elevati costi di sostituzione. Attualmente, non è chiaro se eventuali compensazioni per detti costi possano essere considerate aiuti di Stato, né se in tal caso siano conformi al diritto della concorrenza dell’Ue.
Finora, la Commissione non ha valutato il potenziale impatto dello scenario in cui uno Stato membro costruisca le proprie reti 5G utilizzando apparecchiature di un fornitore considerato ad alto rischio in un altro Stato membro. Detto scenario, avverte la Corte, potrebbe incidere sulla sicurezza transfrontaliera e persino sul funzionamento del mercato unico dell’Ue.
Articolo a cura di Patrizia Licata, CORCOM
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