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Conto da 4,8 miliardi per il 5G, i big chiedono aiuto al Governo

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Le telco dovranno versare la cifra come contropartita dell’asta per le frequenze. Gli operatori chiedono una rimodulazione per evitare il salasso

Passata la legge di bilancio, la speranza delle compagnie telefoniche è tutta riposta sul decreto Milleproroghe. E non si tratta di un passaggio da poco: in ballo ci sono circa 4,8 miliardi che entro il 30 settembre le telco saranno chiamate a versare allo Stato come contropartita dell’asta con cui si sono aggiudicate le frequenze per il 5G.

Gli operatori – nella fattispecie Tim, Vodafone, Iliad e Wind Tre – sono in attesa, incrociando le dita nella speranza che possa arrivare una rimodulazione, con rateizzazione, di quello che altrimenti sarebbe un salasso. È vero che questo pagamento era previsto ab origine: da quel 2018 in cui si è chiusa l’asta. È altrettanto innegabile però che sia figlio di un processo iniziato e concluso in un pre-Covid che appare lontano un’era geologica.

Richiesta (almeno) una rateizzazione

Da qui la richiesta al Governo di intervenire, avanzata anche formalmente con missive dirette ai ministeri dello Sviluppo economico e al Tesoro, partite dall’associazione di categoria Asstel che, sotto la presidenza di Pietro Guindani e poi di Massimo Sarmi, si è fatta parte attiva. La richiesta, messa nero su bianco, è quantomeno di una rateizzazione in 5 anni della somma da versare entro settembre 2022.

Per capire la questione occorre tornare con la memoria all’inizio di ottobre 2018, quando si concluse un’asta record per l’assegnazione di tre bande di frequenze necessarie per il 5G. Il tutto con un finale – dopo 14 giorni e 171 rilanci – lieto per lo Stato, visto l’incasso di 6,55 miliardi a fronte dei 2,5 previsti nella legge di bilancio, ma a caro prezzo per le compagnie telefoniche, con esborsi che vanno dai 2,4 miliardi di euro di Tim come di Vodafone, agli 1,2 miliardi di Iliad, ai 516,5 milioni di Wind Tre ai 32,6 milioni di Fastweb. Per l’azienda guidata da Alberto Calcagno il quantum è stato sensibilmente inferiore perché Fastweb ha fatto suo solo un lotto di frequenze: uno dei 5 della banda 26.5-27.5 GHz. Del resto aveva in dote 40 MHz grazie all’acquisto della licenza detenuta da Aria (controllata di Tiscali) nella banda 3.5 GHz.

Altre bande messe a gara erano la 700 MHz e la 3.6-3.8 GHz. La prima – disponibile proprio da luglio di quest’anno, dopo che sarà liberata dai broadcaster – fu assegnata già nella prima giornata di asta: 10 MHz a Iliad (per 676,5 milioni), mentre i rimanenti 20 sono stati spartiti fra Tim (680,2 milioni) e Vodafone Italia (683,2 milioni). La vera battaglia ci fu sull’altra banda di frequenze, che del resto era immediatamente disponibile.

Se quanto pagare è disceso dalla procedura competitiva, come pagare era già stato previsto dalla legge di bilancio per il 2018 (l’ultima di Gentiloni) che ha concesso di spalmare gli esborsi nel tempo: «1.250 milioni di euro per l’anno 2018, 50 milioni di euro per l’anno 2019, 300 milioni di euro per l’anno 2020, 150 milioni di euro per l’anno 2021 e la restante quota» nel 2022.

Eccola la maxirata in arrivo, leggibile anche nei numeri dei bilanci delle telco consultati dal Sole 24 Ore. Perché se Fastweb ha già pagato, Tim conteggia fra le passività correnti 1,738 miliardi entro settembre 2022 (dopo i 19 milioni entro settembre 2019, 110 milioni per l’anno successivo e 55 milioni per il 2020). Riguardo a Vodafone Italia nel consolidato chiuso il 31 marzo 2021 si legge di 1,663 miliardi di euro; per Wind Tre l’esborso previsto è di 334 milioni e per Iliad si legge di «euro 27.366 e 985.886 migliaia circa rispettivamente nel 2021 e 2022».

La batosta del Covid

In mezzo però, come detto, c’è stato il Covid. Che ha picchiato durissimo. È questo che Asstel avrebbe portato all’attenzione dei ministeri, con tutti i nodi che vanno dagli effetti depressivi del lockdown, ai problemi di fornitura della filiera in questo periodo, allo sforzo (leggi investimenti) prodotto dalle stesse telco per permettere, fra smartworking e altro, di rispondere alle richieste per far fronte all’emergenza sanitaria. In tutto questo, non va trascurata l’ondata dei movimenti “No 5G”, particolarmente attivi nel 2020 e che hanno trovato sponda in almeno 500 ordinanze di sindaci che hanno messo enormemente i bastoni fra le ruote alle telco.

Che sulla maxi-rata occorresse intervenire, il settore ha così iniziato a segnalarlo già dal 2020. E la stessa Agcom nella precedente consiliatura, cui Asstel si era rivolta, aveva segnalato a metà luglio 2020 la questione ai ministri Gualtieri e Patuanelli, allora titolari dei dicasteri di Economia e Sviluppo economico. Ora il tempo stringe e la tagliola della maxi-rata si avvicina. Da fonti governative si apprende che una decisione non è stata ancora presa e le valutazioni sono in corso. Di sicuro il Milleproroghe potrebbe essere l’eventuale veicolo, con un emendamento governativo.

Articolo a cura di Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore

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