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Chicco Testa: La ripresa italiana passa da infrastrutture chiave come nuove reti viarie, termovalorizzatori e 5G

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Articolo di Chiara Samorì, Ingenio

 

Il top manager Chicco Testa indica le sue priorità per rilanciare l’Italia puntando l’indice sull’innovazione: dall’ambiente ai trasporti passando per le nuove tecnologie.

Un’intervista a viso aperto che non risparmia critiche a un certo tipo di politica ambientale che ha bloccato lo sviluppo di alcune infrastrutture strategiche come il 5G o la proliferazione dei termovalorizzatori in grado di trasformare, a suo giudizio, i rifiuti da problemi in risorse seguendo l’esempio dei Paesi del Nord Europa.

Inoltre si è parlato anche di fonti energetiche del futuro: dalle rinnovabili all’idrogeno, passando per il fotovoltaico.

I dubbi sul nuovo ministero della Transizione ecologica.

Le tre priorità per il nuovo Ministero della Transizione Ecologica
Come ha accolto l’annuncio di un nuovo ministero per la Transizione ecologica?

«Con qualche perplessità, perché le politiche ambientali riguardano ogni aspetto dell’attività amministrativa: i trasporti, l’industria, l’agricoltura, l’energia, l’ambiente e la natura».

Quindi il nuovo Ministero accorperà tutte queste competenze?

«Risulterebbe qualcosa di enorme. Sarebbe diverso se invece il nascente Ministero della Transizione Ecologica fosse un dicastero di indirizzo e controllo. Per esempio vedrei molto bene un ufficio in capo al Presidente del Consiglio, un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con compiti di coordinamento e verifica delle politiche dei diversi ministeri. In questo modo si avrebbe il controllo dell’intera attività di Governo, mentre nell’altro caso sarebbe un Ministero che può occuparsi solo di una parte: non vedo possibile una fusione tra trasporti, industria, lavori pubblici, agricoltura. Vedremo che soluzione daranno, ma per me l’ideale sarebbe quella di un punto forte di coordinamento di tutte le politiche ambientali a Palazzo Chigi. Il Ministero dell’Ambiente è troppo debole per poter svolgere questo lavoro.

Secondo lei quali sono le tre azioni da mettere in campo subito?

«La prima è riuscire a eliminare o a ridurre tutti gli ostacoli che vengono posti rispetto agli obiettivi del Piano sia da altri pezzi dell’Amministrazione statale come le Soprintendenze sia da Regioni e Comuni. Per rendere concreta l’economia circolare e la transizione energetica abbiamo bisogno di realizzare centinaia di nuovi impianti che, invece, trovano spesso ostacoli realizzativi enormi. L’Italia impiega anni per realizzare progetti che potrebbero essere fatti in pochi mesi».

Cosa intende per impianti?

«A esempio bisogna realizzare 30mila megawatt da fonti rinnovabili, mancano decine di impianti di riciclaggio di rifiuti, ci sono strutture di trasporto pubblico come le reti ferroviarie ferme da anni. Faccio un esempio su tutti: l’anello ferroviario di Roma che è bloccato dalla Soprintendenza archeologica».

Le altre due priorità invece?

«Intanto il dissesto idrogeologico che è anche un buon modo per spendere i soldi pubblici e generare occupazione mentre il terzo è l’uso intelligente della leva fiscale per indirizzare verso investimenti e comportamenti rispettosi dell’ambiente».

Il futuro dell’energia? Un mix tra rinnovabili e gas, con l’aiuto dell’idrogeno
Possiamo pensare a un futuro in cui l’energia sarà ricavata solo da fonti rinnovabili come l’eolico, il fotovoltaico, idroelettrico oppure è un’utopia?

«In questo caso, faccio sempre una domanda: cosa faremo il giorno in cui pioverà in tutta Italia? La risposta è ovvia e per questo avremo sempre bisogno di impianti programmabili che si possano attivare al bisogno e non solo quando c’è il sole o il vento. Un aiuto può venire dagli accumuli e cioè dalle batterie grazie alle quali, nei giorni in cui si ha molta energia da fonte rinnovabile, si può immagazzinare per poi usarla nei momenti in cui c’è un calo. Ma oggi è impensabile riuscire ad avere accumuli tali da far fronte al fabbisogno energetico di un intero Paese. Per cui la parte rinnovabile può sicuramente crescere, ma ci sarà sempre il bisogno di impianti a gas da programmare e attivare quando servono. Anche perché l’energia da fonte rinnovabile dovrebbe sostituire l’attuale che consumiamo, ricaricare le auto elettriche, le batterie per l’accumulo e allo stesso tempo produrre anche l’idrogeno».

Ecco, appunto, l’idrogeno risolverà tutto?

«No, non risolverà tutto, anche perché l’idrogeno non è una fonte energetica ma è un vettore. Anzi, per produrlo si deve usare altra energia. L’idrogeno può essere un mezzo importante per stoccare energia elettrica e può rivelarsi utile da usare come riserva. In ogni caso resta sempre valida una domanda: cosa succederà tra 50 anni? È un periodo di tempo talmente lungo con la velocità dei cambiamenti che abbiamo oggi, che far delle previsioni è assolutamente impossibile. Io mi preoccupo di cosa possiamo fare nei prossimi dieci o quindici anni e avremo bisogno di una base certa di produzione di energia programmabile che non può che essere garantita dal gas, anche perché se vogliamo eliminare il carbone, è il sostituto già pronto».

La lotta alle emissioni di CO2: le azioni da mettere in campo
Le attuali politiche con cui si affronta il problema della CO2 responsabile del riscaldamento globale e del cambiamento climatico, rischieranno di deindustrializzare il nostro Paese portando tante aziende a delocalizzare in Nazioni meno sensibili a questo tema?

«Il rischio c’è e lo vediamo soprattutto in quella parte dell’Europa che confina con i Paesi dell’Est meno rigorosi. Per evitarlo occorrono norme omogenee per tutti gli Stati membri dell’Unione Europa, che tra l’altro sta valutando di istituire regole volte a impedire la concorrenza sul mercato di quei prodotti che vengono realizzati in altre nazioni del Mondo dove le emissioni di CO2 sono ancora elevate. È chiaro che se si istituisse una tassa sulla CO2, il costo dell’acciaio europeo si alzerebbe e correremmo dei rischi, in quanto quello prodotto in Cina risulterebbe più conveniente. Tale disfunzione potrebbe essere corretta attraverso l’imposizione di dazi e dogane ma l’aspetto principale è che le nostre economie stanno diventando sempre più post materiali e le produzioni di tipo quantitativo e pesante vanno diminuendo di importanza».

Il tema dell’efficienza energetica degli edifici e del rinnovo del nostro patrimonio immobiliare, trova risposta in Bonus per la casa che incentivano spesso piccoli interventi tralasciando l’esigenza di una rigenerazione a più ampia scala?

«Se guardiamo al Superbonus al 110%, a mio parere, è troppo esagerato. Trovo che sia un incentivo che deresponsabilizza i proprietari di casa perché praticamente non devono mettere un euro e ha un costo molto alto per le casse dello Stato. Detto questo è vero che sta mettendo in moto una grande quantità di lavoro e questo è positivo. A ciò si aggiunge la trasformazione del patrimonio immobiliare privato che è uno dei grandi consumatori di energia e produttori di CO2. Avere edifici migliori è indubbiamente un risultato, purtroppo il problema è che l’efficienza energetica va fatta modificando milioni di situazioni. Se io sostituisco una lampadina ad alto consumo energetico con una a basso consumo, devo cambiare milioni di lampadine. Ugualmente fare efficienza energetica sugli edifici significa intervenire su milioni di edifici e sono tanti medi e piccoli interventi che messi insieme fanno dei numeri importanti. Questo va accompagnato a un programma importante di riqualificazione del patrimonio pubblico come scuole, caserme, ministeri, per il quale per altro, il Recovery destina dei fondi che speriamo vengano usati bene. Vedremo che cosa farà Draghi».

Digitalizzazione del Paese e 5G: perché non possiamo farne a meno
Il programma Next Generation EU prevede anche la digitalizzazione e quindi infrastrutture immateriali. Perché il 5G è così necessario?

«Perché il futuro del mondo è nell’economia digitale e il 5G è l’infrastruttura. Sarebbe come se lei mi avesse chiesto nel ‘900, quando è comparsa l’elettricità, perché era così importante avere delle reti di alta e media tensione che portassero l’elettricità a casa sua. È esattamente la stessa cosa. Oppure come se lei mi avesse chiesto quando è nata l’automobile, perché serviva l’autostrada».

E quindi ai sostenitori e attivisti del NO 5G cosa risponderebbe?

«Non li capisco. Se uno crede alle barzellette allora va bene, ma non capisco quali siano i motivi della loro opposizione. Nel caso degli amministratori sono persone che cercano qualche voto spaventando la gente. Lo stesso capita con i gruppi o attivisti che fanno leva sulla paura che loro stessi contribuiscono a creare per ottenere qualche risultato di breve termine e qualche voto in più. Sono comportamenti profondamente sbagliati che ritardano la modernizzazione di questo benedetto Paese».

Il Paese non può fare a meno della digitalizzazione?

«Guardi le faccio un esempio. Il navigatore in auto in media fa risparmiare qualche ora di guida l’anno rispetto alle vecchie mappe stradali. Se proviamo a sommare le ore risparmiate da ciascuno di noi all’anno e le moltiplichiamo per un miliardo di automobili arriviamo a miliardi di ore di guida risparmiate che comportano miliardi di litri di benzina in meno e, quindi, anche di emissioni. Ora il navigatore funziona perché è costruito con l’intelligenza artificiale, perché ci sono connessioni e tutto diventa sempre più preciso. Con il 5G potremo avere la guida autonoma ma è solo un esempio. In qualsiasi settore in cui abbiamo bisogno di trasmettere informazione, vale a dire il 90 per cento della nostra vita privata, sociale ed economica, puntare a migliorare la velocità e la precisone delle connessioni, è importante. Fra cinque anni, potrebbe essere possibile che questa intervista invece che essere fatta appoggiando l’orecchio allo smartphone, sia fatta in 3D, con un ologramma che ci rappresenta entrambi».

Termovalorizzatori e impianti di riclaggio, la soluzione al problema dei rifiuti
Transizione ecologica e rifiuti: qual è la soluzione per gestire l’enorme problema dei rifiuti urbani?

«Faccio una domanda: avete mai sentito notizie su altri Paesi e città europee in cui i rifiuti sono un enorme problema? No, lo abbiamo solo noi in Italia. Il problema dei rifiuti, non è enorme, anzi è banalissimo. Perché le tecnologie per raccogliere, riciclare e trattare i rifiuti sono note da tantissimo tempo ma noi non riusciamo a fare impianti di riciclaggio. Abbiamo un’avversione ideologica nei confronti degli impianti a termocombustione mentre a Copenaghen si scia sul tetto dell’impianto. Allo stesso modo in Italia siamo spesso contrari alla realizzazione di discariche che invece servono. Basterebbe copiare quello che fanno gli altri Paesi europei o, per restare da noi, seguire quello che fa la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto. L’enorme problema dei rifiuti è prevalentemente centro-meridionale».

Quindi sì alla costruzione di termovalorizzatori..

«Certo ma non solo. A esempio mancano tantissimi impianti di riciclaggio. La frazione umida che è la parte più consistente delle raccolte differenziate, oggi viene smaltita in pochissimi impianti e quasi tutti al Nord con i biodigestori».

E se si costruissero più termovalorizzatori e biodigestori a esempio, ne trarremmo vantaggio anche dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico?

«Assolutamente sì perché si potrebbe produrre da una parte gas e metano e dall’altra calore ed energia elettrica».

Mentre oggi i nostri rifiuti, come racconta nel suo libro, viaggiano per chilometri e chilometri lungo lo Stivale ..

«O addirittura vanno all’estero. Vede oggi siamo tutti ambientalisti, però è come essere tutti un po’ cristiani, ci sono i protestanti, i cattolici, i praticanti. Il mondo ambientalista non si giudica da quanto uno si professa tale ma è un mondo molto diviso sulle politiche che bisogna adottare per tutelare l’ambiente. Allora succede che ci si divide, ci sono associazioni ambientaliste che si oppongono praticamente a tutto, all’energia solare, a quella eolica, ai termocombustori. Ci sono quelli che pensano che la colpa sia della crescita economica e che, quindi, dobbiamo ridurci in povertà e tornare allo stato di natura. È un grande mondo, ma bisogna discutere delle politiche ambientali non della politica ambientale».

E se invece dei termovalorizzatori fossero le stesse industrie energivore a sfruttare la combustione dei rifiuti per ricavare energia?

«Si potrebbe fare ma per alcuni tipi di industrie come negli impianti dedicati oppure nei cementifici che già bruciano rifiuti come il combustibile estratto proprio da questi. Non si possono bruciare rifiuti in una normale caldaia che serve per altri scopi ma servono impianti particolari».

Sviluppo e sostenibilità ambientale: l’unica strada per una crescita felice
È possibile coniugare sviluppo e sostenibilità ambientale e avere una crescita felice?

«Certamente sì. In questa parte del mondo le nostre economie stanno già ampiamente diventando post-materialiste. Nel libro lo definisco disaccoppiamento, perché mentre fino a un po’ di tempo fa, la crescita economica aveva bisogno di grandi quantità di risorse naturali, oggi invece possiamo crescere diminuendo le risorse ambientali utilizzate grazie all’innovazione tecnologica: un pannello solare utilizza l’energia del sole, una centrale a carbone usava il carbone. Nel mondo oggi vivono sette miliardi e mezzo di persone ma abbiamo la stessa quantità di terreno coltivato che avevamo nel 1950 quando eravamo due miliardi. Come è stato possibile questo miracolo? Perché è aumentata la produttività dei terreni, un ettaro di terreno produceva dieci quintali di mais, oggi sono saliti a 40 grazie ai trattori, ai fertilizzanti e ai pesticidi. E questo sta avvenendo in ogni settore dell’economia. Nel mondo dell’auto, i motori sono più efficienti, consumano meno benzina e con i navigatori se ne spreca ancora di meno. In sintesi, per me, coloro che vogliono lo sviluppo sostenibile ma poi applicano la politica del no rifiutando tutto, non fanno un servizio a se stessi ma sono solo conservatori spaventati. Coniugare sviluppo e sostenibilità è l’unica strada, perché se ci dovessimo impoverire, le assicuro che ci sarebbe una reazione nell’opinione pubblica. Perché come scrivo nel mio libro, citando Indira Ghandi che nel 1972 scrisse che “il più grande nemico dell’ambiente è la povertà”, bisogna trovare una strada che concilia la crescita economica, il benessere delle popolazioni, con la cura dell’ambiente e questo si può fare. Chi sono oggi i più grandi Paesi inquinatori? Cina, India, Indonesia ovvero Paesi che ancora non hanno raggiunto determinati livelli di ricchezza e sono ancora economie in transizione, povere, che quindi si rivolgono a produzioni di basso livello e sono grandi consumatori di energia e materia prima. Hanno un’agricoltura e un’industria arretrata».

La pandemia frenerà lo sviluppo sostenibile?
Guardando all’attualità, la pandemia che sappiamo avrà delle ripercussioni economiche importanti su tutti i Paesi, ostacolerà il progresso e lo sviluppo sostenibile?

«Un po’ sì, la pandemia ha un po’ cambiato l’ordine dei fattori, è ovvio che oggi questa è la prima preoccupazione, sia per motivi di salute sia economici, perché molta gente sta perdendo il lavoro. Non credo che il primo pensiero di una persona che non ha più un’occupazione, sia sapere se l’aria è pulita o meno e non penso che le sue priorità siano le politiche ambientali. Credo invece possa essere interessato ad avere la dimostrazione che queste politiche in un futuro gli potranno portare un po’ di ricchezza».

Crede che 209 miliardi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano saranno sufficienti?

«Nessuna cifra è mai sufficiente, ma l’importante è spenderli bene. Più di 200 miliardi sono un sacco di soldi».

Lei come li spenderebbe?

«In un gigantesco potenziamento delle infrastrutture italiane: reti ferroviarie, 5G, impianti energetici, impianti di riciclaggio dei rifiuti. È da venti anni che non facciamo investimenti importanti per il patrimonio infrastrutturale del Paese. Quello che Draghi chiama il debito buono».

 

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