Articolo di Dario D’Elia, Wired
L’obiettivo è di sgravare le reti locali in occasione di eventi live, di potenziare la copertura e di migliorare l’integrazione con lo streaming. A che punto sono i test.
I broadcaster tradizionali non hanno mai puntato troppo sulle trasmissioni tramite rete mobile, soprattutto dopo Dvb-h fra il 2008 e il 2012, ma il 5G sta attirando una rinnovata attenzione. Ne è convinto Stefano Ciccotti, responsabile tecnologico di Rai.
Mobile, più che mobilità
La mobilità è sempre stata nel cuore del broadcasting Rai, soprattutto se si considera l’ascolto radiofonico. Oggi il 65% della fruizione avviene in auto. È vero anche però che l’attenzione è sempre stata rivolta alla televisione tradizionale e quindi al salotto di casa. Oggi la fruizione media, secondo i dati forniti da Ciccotti in un incontro sul futuro della tv organizzato dall’associazione Hd Forum Italia (Hdfi), l’organismo di filiera che riunisce venticinque aziende leader nel settore dell’audiovisivo e delle telecomunicazioni, è comunque di poco meno di quattro ore al giorno.
Con l’avvento delle piattaforme streaming e l’arricchimento della programmazione base, il cosiddetto “secondo schermo” ha iniziato a diventare strategico non tanto per la mobilità ma per l’arricchimento dell’offerta di contenuti e informazione. RaiPlay, per esempio, gestisce sia contenuti lineari sia video-on-demand. La prospettiva però è di sfruttare il broadcasting via 5G per la copertura di grandi eventi sportivi live e attivare otto/dieci canali su dispositivi personali, come per esempio lo smartphone. Senza contare servizi push per contenuti video o aggiornamenti software, e servizi di pubblica utilità (didattica, traffico, allerta meteo).
“Stiamo assistendo a una crescita significativa di ascolto su terminali mobili di contenuti di live streaming che noi veicoliamo sulla nostra piattaforma RayPlay o in modo simul-cast o esclusivo“, ha sottolineato Ciccotti: “E questo ci fa riflettere che forse è il caso di osservare più attentamente ciò che sta avvenendo nel settore tlc“.
Una tecnologia per eliminare colli di bottiglia
Rai sta sperimentando torri broadcast, quindi una sorgente per servire più terminali, “come layer superiore di una copertura mista” che poi si appoggia a quelle degli operatori. Di fatto high power high tower (hpht) in numero limitato di Rai; low power low tower capillari delle telco. L’attuale fase di test in Piemonte (Torino Eremo) conferma che una hpht ha un raggio di copertura di 10/15 chilometri in area urbana e fino a 50/60 chilometri in area rurale e suburbana. In pratica con questo tipo di 5G broadcasting occorre un numero inferiore di trasmettitori per coprire la stessa area. Si stima da 70 a 225 volte meno, a seconda della potenza irradiata (Eirp) consentita. In Italia vorrebbe dire servire 170mila chilometri quadrati di aree rurali e suburbane con meno di 100 torri hpht invece che con più di 10mila celle mobili.
In questo modo è possibile scaricare la rete mobile nel suo complesso dal peso dell’alto traffico generato da un evento. Il tutto per evitare colli di bottiglia non tanto sulle dorsali, ma in ambito locale. Ovviamente lato utente l’accesso al live streaming dovrebbe avvenire in maniera agile come con qualsiasi altro tipo di contenuto video.
Le sperimentazioni degli ultimi anni
In Italia i primi test Rai reali sono andati a buon fine nel 2018, con la collaborazione dell’Università di Braunschweig (Tub), durante i campionati europei di atletica. Allora è stata attivata una trasmissione in alta definizione dallo stadio di Berlino a un prototipo radio situato in Valle d’Aosta, che a sua volta consentiva la fruizione via wi-fi su dispositivi mobili. Nel 2019 in occasione della festa di San Giovanni di Torino si è sfruttata una trasmissione dal sito Torino Eremo al Museo della radio e della televisione di Torino, con distribuzione del segnale verso cinquanta dispositivi mobili in multicast wifi.
Cosa manca al 5G broadcasting
Per l’implementazione del 5G broadcasting però bisognerà attendere la riassegnazione delle frequenze a 700 Mhz, che com’è risaputo oggi sono impiegate dal digitale terrestre e dopo lo switch-off Dvb-T2 di giugno 2022 verranno giocate sul tavolo della 5G. Una porzione di questo spettro (738 – 758 MHz) potrebbe essere candidata per il 5G broadcasting. L’altra opzione potrebbe essere quella di impiegare frequenze sub-700 Mhz che però saranno liberate dal 2030. L’unica certezza è che in Europa (Germania, Gran Bretagna e Austria), Cina e Brasile diversi operatori e aziende come Zte e Huawei stanno sperimentando ed è già nato un consorzio internazionale chiamato 5G-Mag.
Scenari futuri
“Qualche giorno fa abbiamo trasmesso in diretta esclusivamente su RaiPlay alcune partite di Coppa Italia, in particolare Fiorentina-Padova, e abbiamo avuto quasi 100mila collegamenti e 70mila contemporanei e di questi il 65% via smartphone“, ha sottolineato Ciccotti: “Considerate le squadre ha sicuramente generato audience in aree limitate del territorio, quindi vuol dire reti di accesso di prossimità che tendono a saturare nel momento in cui il sistema deve reagire a questa enorme richiesta“.
Un esempio analogo è quello della serie Il collegio in simul-cast che vede il pubblico giovane tra i 15 e i 24 anni a collegarsi tramite smartphone e il 65% degli altri farlo tramite televisione tradizionale.
“Potrebbe avere senso adottare questa tecnologia nel caso di eventi live ad alta audience, contenuti rivolti al pubblico più giovane ma anche servizi di pubblica utilità che in questo periodo storico e in futuro non potranno più essere considerati marginali: dalla didattica a distanza alle allerte per la popolazione“, ha concluso Ciccotti: “In sintesi si parla di garantire una porzione ridotta di spettro radioelettrico per poter avere alcun canali in live streaming disponibili indipendentemente dalla sim e dalla sottoscrizione attraverso accordi tra i broadcaster e gli operatori radiomobili ben regolamentato e con risultati economici di investimento contenuti potrebbe rappresentare un importante vantaggio per il nostro paese”.
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