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Huawei: «Il 5G per l’Italia è essenziale. Senza di noi crolla tutto»

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Articolo di Alessandra Pauto, Corriere Della Sera

Per spiegare che cosa sarebbe il mondo senza Huawei Luigi De Vecchis, presidente in Italia del gruppo di telecomunicazioni cinese, usa una metafora alimentare. «Huawei non è come l’olio di palma, che lo puoi togliere dai biscotti e sostituire — dice — . Se non c’è Huawei, si genera un problema nella filiera. Abbiamo fatto passi tecnologici importanti, siamo stati i primi al mondo a lanciare il chip dell’intelligenza artificiale semplice e a basso costo. Un trend setter come noi fa da traino a tutta l’industria». Per dire che, se la Gran Bretagna ha annunciato la scorsa settimana, in linea con gli Stati Uniti di Donald Trump, di escludere Huawei dalle gare per il 5G — la tecnologia di quinta generazione per l’Internet ultraveloce, attraverso le reti dei cellulari — «non sarà velocemente rimpiazzabile». La multinazionale fondata da Ren Zhengfei, secondo produttore al mondo di smartphone dopo Samsung e prima di Apple, dice De Vecchis, «non è una minaccia per la sicurezza dei dati. Siamo pronti a ogni controllo».

Ex amministratore delegato di Siemens Italia e di Nokia Siemens Network, già consigliere del ministro delle Politiche agricole sull’energia sostenibile nel 2011 (governo Monti), De Vecchis archivia un 2019 con ricavi in Italia per 1,310 miliardi, in calo dagli 1,576 dell’anno prima. Ma anche qui resta forte la posizione del gruppo cinese — 64 miliardi di dollari di fatturato mondiale nel primo semestre 2020, +13% su base annua, utile netto al 9,2% — negli smartphone (è seconda), nelle soluzioni per la digitalizzazione delle imprese e nelle tecnologie per le reti.
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Il 14 luglio è arrivata la decisione ufficiale: siete stati esclusi dalle forniture del servizio sul 5G in Gran Bretagna. Come la vede?

«Una decisione geopolitica, non tecnologica. È una deludente inversione di rotta, a fronte di nessuna violazione da parte di Huawei. Partecipiamo ai comitati internazionali di standardizzazione che comprendono venditori, fornitori di chip, di telefonia, dove si parla anche di sicurezza. I parametri sono fissati in modo orizzontale tra tutti gli operatori e il 5 G ha una sicurezza intrinseca molto più alta dei sistemi precedenti. Non possiamo permetterci di perdere reputazione violando le regole. È stato detto che per sostituirci ci vorranno tre anni ma non è così, ne serviranno almeno sette. Per il Regno Unito è un costo che supera il miliardo e mezzo di sterline. Eppure siamo un’azienda privata, ad azionariato diffuso, con i dipendenti soci. Il governo cinese non ha un’azione».

Con la rete 5G si connetteranno in digitale gli oggetti, le auto, le città, le fabbriche. Perché i dati personali sono al sicuro?

«Sulla rete i dati transitano crittografati e accorpati, è difficile distinguerli. Un’azienda come Huawei non gestisce dati e comunque non si metterebbe mai in una situazione tanto critica. Sarebbe un danno d’immagine e d’affari».

Beh, potreste muovervi sottotraccia.

«Prima o poi ci scoprirebbero e saremmo subito fuori dal mercato internazionale. Siamo oggetto di un attacco senza precedenti e non c’è nessuna prova concreta».

Tim vi ha escluso dalla gara per la costruzione della rete core 5G in Italia e Brasile.

«Sì, ma è diverso. Rispettiamo la decisione che è di natura commerciale e non politica, riguarda una delle tante parti della rete».

Cioè la fornitura di apparecchiature per gestire la parte centrale della rete ultraveloce, quella che processa i dati sensibili…

«Certo, ci dispiace. Non è una festa. Ma continuiamo a lavorare con Tim come con Vodafone e altri. Huawei ha 13 mila persone in Europa dove investe 8 miliardi l’anno in forniture locali. Abbiamo investito sul 5 G in dieci anni 4 miliardi nel mondo, più dei nostri maggiori competitor in Europa e negli Stati Uniti messi insieme. Ci aspettiamo che qualcuno prenda i nostri apparati, li vivisezioni e constati che non c’è nessun problema, nessuna minaccia».

Quanto investite sull’Italia?

«Due miliardi di euro fra il 2016 e il 2019, in acquisti di beni e servizi. Supportiamo le università italiane, 9 milioni solo nel 2019. Abbiamo due centri di ricerca e sviluppo globali di cui uno a Segrate gestito da un italiano, Renato Lombardi, che lavora per tutto il mondo. Studia le frequenze millimetriche, alla base di tecnologie come il 5G che contrastano il divario digitale, impiega cento persone. Ne assumeremo altre».

Avete un progetto pilota sulla diagnosi del Covid dalla voce con Voicewise, una costola dell’Università di Tor Vergata. A che punto è?

«Stanno facendo i test, non solo per il Covid. Sono già state identificate a partire dalla voce alcune malattie con un algoritmo. Sulla pandemia abbiamo lavorato molto in Cina con reti 5G specifiche di comunicazione fra ospedali e medici. Abbiamo proposto una piattaforma simile anche in Italia. E all’ospedale Cotugno di Napoli si trova già la nostra soluzione con l’intelligenza artificiale per l’analisi precoce delle lesioni polmonari da Covid» .

Che tempi ci sono per il 5G in Italia?

«Non dipende da noi. Per ora il piano è per l’installazione, in generale, di qualche migliaio di antenne, contro le circa 50 mila previste negli Usa e in Germania. In Europa saranno meno di 100 mila contro le 600-800 mila attese in Cina. L’anno scorso abbiamo lanciato in Italia il piano sulle smart city. Il 5 G è il collante delle tecnologie dalla realtà virtuale all’automotive, dall’industria 4.0 ai big data, ma sarà l’intelligenza artificiale il motore dello sviluppo. Se ne parla da 30 anni, ora si sta cominciando. La prima industria che riuscirà a usarla avrà un vantaggio competitivo enorme. La rete 5G è fondamentale per la crescita dell’industria e del Paese».

Perché?

«Prendiamo un’azienda che abbia tante fabbriche nel mondo. Con i sistemi 5G il primo stabilimento che riesce a migliorare la qualità o tagliare i costi porterà alla riorganizzazione automatica di tutti gli altri. Nelle città connesse il traffico diminuisce, l’impatto ambientale anche».

E il problema del calo occupazionale?

«Ci saranno 11 milioni di nuovi posti di lavoro, in professioni diverse o riconvertite».

Avete poi incontrato il governo italiano?

«Ci si vede informalmente ai convegni. Ma l’Italia sta affrontando il tema della sicurezza informatica in modo professionale. È in arrivo la nuova legge sulla cybersecurity, bisogna lasciarli lavorare. Il nostro compito è spiegare la transizione. Per tutta l’Europa, un mercato evoluto sulle tecnologie, sarebbe un grosso danno seguire la guerra americana contro Huawei».

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