Rapporto della Commissione sulle aree in cui è urgente limitare la dipendenza strategica. Fatti passi avanti, ma serve visione di lungo periodo
Nella sfida – ancor più cruciale dopo la pandemia – di limitare la propria dipendenza strategica, l’Unione europea si autopromuove. Sono stati fatti “progressi significativi” puntando sulle alleanze industriali esistenti (per esempio su materie prime, batterie e idrogeno), su quelle recentemente lanciate (semiconduttori e servizi cloud), sulle normative proposte (batterie, idrogeno e semiconduttori), sulle nuove partnership internazionali (materie prime) e sui progetti di interesse comune europeo (semiconduttori e servizi cloud). È quanto si legge in un rapporto appena diffuso che ha come punto di partenza la prima edizione dell’analisi delle dipendenze strategiche dell’Unione europea pubblicata nel maggio del 2021.
Terre rare
Le terre rare rappresentano la prima delle cinque aree analizzate dal rapporto. Come noto, “l’Unione europea (così come altre economie) è fortemente dipendente dalla Cina per l’intera catena del valore dei magneti permanenti in terre rare”, si legge nel documento. Si tratta di una di quelle dipendenza che rischiano di diventare vulnerabilità. Per questo servono “politiche strutturali e a lungo termine”, anche con partnership internazionali.
Pannelli solari
Gli obiettivo al 2030 e al 2050 che l’Unione europea si è data con il Green Deal rendono le tecnologie solari fotovoltaiche cruciali. Senza dimenticare la loro importanza nel campo dello spazio e della difesa (per esempio nell’alimentazione dei satelliti). Se “a valle” l’Unione europea ha “punti di forza”, a monte “affronta importanti dipendenze strategiche”, recita il documento. In particolare rispetto alla Cina. In ragione di ciò, come sottolinea il documento, l’area è tra quelle interessate dal Consiglio commerciale e tecnologico che riunisce Unione europea e Stati Uniti.
Sicurezza cibernetica
“L’Unione europea è leader nella ricerca sulla cibersicurezza insieme agli Stati Uniti, ma questo non si traduce in una posizione industriale altrettanto rilevante”, avverte il rapporto. Inoltre, l’Unione europea è “indietro rispetto agli Stati Uniti e anche alla Cina nell’innovazione” nel settore, “così come negli investimenti privati in start-up e scale-up”. Qualche numero: soltanto il 14% delle più grandi 500 aziende di cibersicurezza del mondo ha sede nell’Unione europea (rispetto al 75% negli Stati Uniti). “L’Europa si sta parzialmente affidando a fornitori internazionali di prodotti e servizi per proteggere le sue infrastrutture”, continua il documento evidenziando le “preoccupazioni per settori specifici di importanza strategica” come la difesa.
Di “preoccupazioni specifiche” si parla relativamente al 5G e ai cosiddetti “fornitori ad alto rischio” – espressione utilizzata dall’Unione europea per identificare quei produttori, come le cinesi Huawei e Zte, che gli Stati Uniti e alcuni loro alleati hanno definito minacce per la sicurezza nazionale. In ogni caso, “l’Unione europea ha attualmente punti di forza in questo settore, con aziende come Ericsson e Nokia che sono state identificate come leader mondiali del 5G”, recita il rapporto da cui trapela così una certa soddisfazione sulla situazione 5G, tra le spinte americane per il bando dei fornitori cinesi e le minacciate ritorsioni cinesi.
Software
Nell’area software cloud e edge l’Unione europea vive “importanti dipendenze strategiche”, soprattutto dagli Stati Uniti. La risposta? Sovranità digitale. La ricetta dell’Unione europea è il recente Digital Markets Act: “mira a garantire che i mercati nel settore digitale rimangano equi e contendibili”, spiega il documento della Commissione europea. Una ricetta che però preoccupa gli Stati Uniti, spaventati dalle conseguenze per la sicurezza informatica e l’innovazione tecnologica.
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