Skip to content

5G e salute: il super-dossier. Ecco tutti gli studi, i documenti e i fatti

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su linkedin
LinkedIn
Condividi su whatsapp
WhatsApp

Articolo di Massimiliano Di Marco, DDay.it

Il 5G fa male o no? La discussione tiene banco da molti mesi e soprattutto durante il periodo di quarantena si è intensificata. Facciamo chiarezza sulla questione partendo dai documenti, ciò che dimostrano gli studi e dai principali dubbi sull’argomento.

Sono molti i cittadini spaventati dal fatto che il 5G possa essere dannoso per la salute. Una lecita preoccupazione verso qualcosa che molte persone conoscono poco. Non gli scienziati, però, che da anni studiano le onde elettromagnetiche ed eventuali loro effetti sulla salute. In questa guida abbiamo radunato tutta la letteratura scientifica relativa alla questione e le risposte ai principali dubbi dei cittadini, per fare chiarezza e dare un vero contorno a quello che per molti è diventato un vero e proprio “allarme 5G”.

Sull’argomento DDAY.it ha scritto molti articoli ed è stato intervistato anche il dott. Alessandro Polichetti, Primo Ricercatore e titolare del progetto Salute e Campi Elettromagnetici dell’Istituto Superiore di Sanità. Un intervento lungo ma esaustivo su tutte le questioni relative al rapporto tra 5G e salute umana.

L’Istituto Superiore di Sanità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono d’accordo: il 5G non fa male

Non esistono evidenze per dimostrare che il 5G possa nuocere alla salute delle persone. Lo dicono chiaramente l’Istituto Superiore di Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e anche la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti (ICNIRP) dell’Unione Europea.

In un dettagliato rapporto che racchiude i principali studi in materia di onde elettromagnetiche, l’Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che “i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della popolazione connessi all’introduzione del 5G”.

Cosa dice la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro sui campi elettromagnetici?

Per quel che riguarda in generale i campi elettromagnetici, la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, è molto chiara riguardo alla possibilità che possano aumentare il rischio di tumori al cervello: “No, non ci sono attualmente prove scientifiche sufficienti a sostenere un rapporto diretto di causa ed effetto tra l’esposizione a campi elettromagnetici e il cancro”.

Ecco cosa dice il Ministero della Salute

Lo stesso parere viene espresso dal Ministero della Salute italiano: “Allo stato attuale delle conoscenze non sono stati evidenziati effetti nocivi sulla salute” causati dai telefoni cellulari e dalle onde elettromagnetiche.
Le frequenze del 5G sono diverse da quelle del 3G e del 4G?

No, ma appartengono a fasce di frequenza molto vicine fra loro. In Italia il 3G, per esempio, opera soprattutto a 2,1 GHz, mentre il 4G usa bande fra gli 800 MHz e i 2,6 GHz. Il 5G sfrutterà tre bande: 700 MHz, 3,7 GHz e 26 GHz.

Quella a 700 MHz è ritenuta la banda più pregiata perché, sebbene abiliti velocità inferiori rispetto alle due frequenze più alte, ha una portata maggiore, penetra negli edifici, ed è quindi adatta a fornire copertura a molte persone anche a lunghe distanze. Fino a metà 2022, la banda dei 700 MHz non sarà impiegata per il 5G, dato che queste frequenze sono attualmente utilizzate (come negli ultimi decenni) dalle comuni trasmissioni televisive.

Le frequenze del 5G sono mai state usate?

Sì. Il 4G, per esempio, opera su bande di frequenza tra gli 800 MHz e i 2,6 GHz. Le reti Wi-Fi casalinghe sfruttano soprattutto la frequenza a 2,4 GHz; quelle più avanzate arrivano a 5 GHz per offrire prestazioni superiori.

In Italia il 5G userà tre bande di frequenza: 700 MHz, 3,7 GHz e 26 GHz. Solo quest’ultima è poco diffusa; le altre due sono già usate da anni per le trasmissioni televisive (infatti la banda 700 sarà libera soltanto dal 2022) e per le reti Wi-Fi, per esempio. I segnali a 26 GHz, in ogni caso, sono già utilizzati in altri campi: non sono frequenze inedite in Italia, sebbene siano sfruttate in ambiti molto specifici, come i ponti radio ad alta capacità.

Le frequenze a 700 MHz e 3,7 GHz, quindi, sono già ampiamente considerate non nocive per l’uomo perché sono estremamente diffuse da tanti anni. Le reti Wi-Fi più avanzate, anzi, sfruttano anche segnali a 5 GHz per garantire prestazioni migliori. Eppure, nessuno sta cercando di vietare le trasmissioni televisive o l’installazione di reti Wi-Fi pubbliche.
Il 5G a 26 GHz fa male?

Sebbene l’OMS sottolinei che “pochi studi sono stati fatti nelle frequenze usate per il 5G”, le caratteristiche delle frequenze più alte (i 26 GHz) spingono ad affermare che “non ci saranno conseguenze per la salute pubblica”.

Di quali caratteristiche parliamo? Le frequenze più elevate abilitano velocità maggiori, ma allo stesso tempo copriranno una distanza minore rispetto ai segnali a 700 MHz e 3,7 GHz. Succede anche per le reti Wi-Fi: il segnale a 5 GHz viene consigliato per i dispositivi più vicini al router; quelli più distanti faranno affidamento sul segnale a 2,4 GHz, meno veloce ma caratterizzato da una portata maggiore.

Inoltre, un segnale a 26 GHz ha una scarsa penetrazione e viene facilmente assorbito da alberi ed edifici. Ecco perché servirà installare molte antenne per il 5G a 26 GHz: per garantire un campo omogeneo, ma non per questo in contrasto con i rigidi limiti di emissione in vigore in Italia.

Sul tema specifico, il dott. Polichetti dell’ISS ha chiarito che “quelle usate dal 5G appartengono comunque all’intervallo delle radiofrequenze, i cui meccanismi di interazione con il corpo umano sono ben compresi, e i limiti di esposizione internazionali (e a maggior ragione i più cautelativi limiti italiani) consentono di prevenire totalmente gli effetti noti dei campi elettromagnetici anche a queste frequenze.”
Se le antenne sono più fitte e ravvicinate, aumenta l’intensità del campo elettromagnetico?

Un reticolo di antenne più fitto in realtà crea una distribuzione più uniforme del campo elettromagnetico e quindi intensità di picco più basse. Infatti, proprio per rimanere all’interno degli stringenti parametri della normativa italiana e per garantire la copertura in 5G di alcune aree esterne a 26 GHz (questa frequenza deve essere usata in visibilità ottica) è necessario aumentare il numero delle stazioni base. In questo modo, la potenza emessa da ogni impianto diminuisce perché deve coprire un’area più ristretta. Ai fini dell’inquinamento elettromagnetico, quindi, sarebbe assolutamente preferibile una distribuzione più fitta delle celle. Le telco, invece, preferirebbero una distribuzione meno fitta, che comporta costi certamente più contenuti di copertura, visto che il numero di antenne sono minori. Ma proprio il rispetto delle normative costringe i gestori di rete ad aumentare il numero di antenne e a diminuire di conseguenza le potenze di picco emesse.
Con il 5G le esposizioni alle onde elettromagnetiche saranno più alte?

Agli autorevoli pareri dell’ISS e dell’OMS, si aggiunge quello della sopracitata ICNIRP, a cui spetta l’onere di stabilire le linee guida per le emissioni dei campi elettromagnetici in Europa.

La commissione ha stabilito che l’installazione delle antenne 5G “non influenzerà in maniera apprezzabile le esposizioni e le prime misurazioni suggeriscono che l’esposizione dalle antenne 5G sarà approssimativamente simile a quella delle antenne 3G e 4G”.

Anche se il 5G sfrutterà frequenze più alte, le restrizioni stabilite dall’ICNIRP a livello europeo assicurano “che il picco di potenza risultante sarà molto inferiore a quello necessario per provocare danni alla salute”.
Il 5G può aumentare i rischi di contagio dal coronavirus?

Non esiste alcuna correlazione tra emissioni radio e diffusione di virus e ogni notizia del contrario circolata di recente è frutto di considerazioni che non hanno il minimo fondamento scientifico. In ogni caso, l’ICNIRP ha smentito l’idea che il coronavirus possa essere trasmesso dalle reti 5G o che l’esposizione al segnale 5G possa aumentare il rischio o la gravità del contagio.
L’installazione di nuove antenne 5G aumenterà l’intensità dei campi elettromagnetici?

Il maggior numero di antenne 5G sparse sul territorio non deve preoccupare. Dice l’ISS: “Se da un lato aumenteranno sul territorio i punti di emissione di segnali elettromagnetici, dall’altro questo aumento porterà a potenze medie degli impianti emittenti più basse.” In Italia vige un limite di emissioni che, a prescindere dal numero di antenne in una data area, non può mai essere superato.

Le rilevazioni dell’ARPA nel Friuli Venezia Giulia, inoltre, hanno dimostrato che le emissioni delle antenne 5G sono di molto inferiori a quelle massime previste dalla legge italiana. “Tutte le misurazioni nell’area prossima agli impianti hanno evidenziato un campo elettrico compreso nel range 0,3-1 V/m, quindi molto inferiori al valore di 6 V/m”, ossia il valore di riferimento in Italia.

In Italia è stato stabilito un valore di 6 V/m, che è molto più basso di quello europeo ed è uno dei più rigidi al mondo. È stato così deciso proprio in via precauzionale, per salvaguardare le persone da ogni eventualità di danni alla salute non noti, anche se ciò ha significato complicare il lavoro degli operatori. Anche con il 5G e nonostante l’installazione di ulteriori antenne, i limiti sono qui per restare e devono essere rispettati.

Il 5G avrà un segnale più efficiente

Il 5G farà uso di una tecnologia nota come “beamforming”: l’antenna invia un segnale in direzione del dispositivo che lo sta richiedendo, anziché generare un segnale ad ampio raggio di copertura. In questo modo c’è meno dispersione del segnale e minor rischio di interferenze con le altre antenne vicine.

Come spiega l’OMS, “il 5G impiegherà antenne beamforming per concentrare i segnali in modo più efficiente verso il dispositivo in uso anziché diffondere il segnale ad ampio spettro come accade per le attuali antenne”.

Se con le precedenti generazioni delle reti mobili le antenne coprivano una data area a prescindere che vi fossero utenti attivi, le antenne 5G sfrutteranno nuove tecniche per indirizzare il segnale solo verso gli utenti attivi.
È vero che le radiazioni da radiofrequenze sono possibili cancerogeni?

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito i campi elettromagnetici a radiofrequenza nel gruppo 2B, ossia tra i possibili cancerogeni per l’uomo. Va evidenziato che con “possibili”, – livello che sta al di sotto del “probabilmente cancerogeni” del gruppo 2A – non si intende che esiste un rapporto di causa ed effetto dimostrato: questa classificazione è utilizzata per tutti gli agenti per i quali esiste qualche evidenza di rapporto causa effetto con lo sviluppo dei tumori nell’uomo, ma non conclusiva.

In particolare, la IARC ha specificato chiaramente che “le evidenze dalle esposizioni lavorative e ambientali sono giudicate inadeguate”. Ciò significa, quindi, che non esistono prove per indicare che l’esposizione alle antenne cellulari installate sul territorio, incluse quelle 5G, rappresentino un potenziale rischio per la salute.

L’IARC ha inserito le radiazioni da radiofrequenze nel gruppo 2B dopo che alcuni studi hanno rilevato “limitate” evidenze. Cosa intende la IARC con limitate? “Una correlazione positiva è stata osservata fra l’esposizione all’agente e il cancro tale per cui un’interpretazione causale è considerata dal Gruppo di Lavoro come credibile, seppur la casualità, i pregiudizi e le contraddizioni non possano essere esclusi con ragionevole fiducia”.

Nel gruppo 2B, sono presenti molti agenti e circostanze di uso comune. Per esempio, i sottaceti, l’acido caffeico (presente nei carciofi e nelle fragole, fra gli altri) e lavorare come pompiere.

Nel gruppo 2A, che include agenti definiti come probabilmente cancerogeni, il cui le evidenze di cancerogenicità sono più forti, ma ancora non conclusive, ci sono attività professionali come il parrucchiere e bere bevande calde sopra i 65° C.

Esiste uno studio in particolare che dica se il 5G fa male o no?

Il dott. Polichetti dell’ISS spiega molto bene perché a questa domanda non c’è una risposta: “Non è così che opera la scienza”. Chiarendo le nuove linee guida dell’ICNIRP, Polichetti ha sottolineato che esse “si basano su un corpo di conoscenze che si è sviluppato nel corso di molti anni di ricerca scientifica” e quindi “nessun singolo studio è in grado di dimostrare che l’esposizione al di sotto dei livelli fissati dalle linee guida sia nociva o meno”.

Il parere di commissioni come l’ICNIRP, quindi, è basato su dozzine di studi svolti nell’arco di molti anni che insieme forniscono una visione sull’esposizione a un dato agente e i suoi effetti sulla salute. Le linee guida dell’ICNIRP, che regolano i valori delle emissioni dei campi elettromagnetici in Europa, sono quindi sicure.

Per quel che riguarda studi specifici sul funzionamento del 5G e sull’impatto sulle esposizioni, è importante notare che, sebbene sia una tecnologia diversa, la sua natura non è inedita ed è facilmente prevedibile. “[…] poiché conosciamo la relazione tra CEM RF (campi elettromagnetici a radiofrequenza, ndr) e danno in funzione della frequenza e del livello di esposizione, quando una nuova tecnologia come il 5G – fa notare Polichetti – viene sviluppata, siamo in grado di determinare se causerà danni per la salute sulla base delle frequenze che impiegherà e dell’intensità dell’esposizione risultante”.

Non c’è nulla di alieno quindi nel 5G: i suoi effetti sono prevedibili perché le frequenze usate sono note e molti studi scientifici sono stati fatti, negli anni, sui campi elettromagnetici a radiofrequenza.
Lo studio del Ramazzini e dell’NTP non hanno dimostrato che le onde elettromagnetiche provocano il cancro?

No, non è così. Entrambi gli studi (uno italiano e uno statunitense) hanno registrato dati incoerenti e, quindi, poco affidabili. Su DDAY.it abbiamo riportato una spiegazione approfondita.

Oltre a tenere in considerazione quanto sopra spiegato (non basta uno studio a smentirne 100 contrari perché non è così che funziona la scienza), Polichetti chiarisce che “tali studi non hanno dimostrato che l’esposizione a CEM RF (campi elettromagnetici a radiofrequenza, ndr) abbia iniziato o promosso il cancro nei roditori, e pertanto sono coerenti con la letteratura scientifica più in generale”.

Anche l’ICNIRP ha considerato i risultati degli studi del Ramazzini e dell’NTP non coerenti fra loro e per questo non conclusivi.
E allora, se le onde elettromagnetiche delle reti telefoniche non fanno male, perché il tribunale di Torino ha condannato un’azienda per danni a un nervo acustico di un proprio dipendente?

La sentenza della Corte d’Appello di Torino ha confermato il giudizio in primo grado e la correlazione tra un uso intenso del telefono cellulare da parte di un dipendente di TIM e l’insorgenza di un neurinoma del nervo acustico. Con tale sentenza, è stata confermata la rendita vitalizia da malattia professionale al lavoratore da parte dell’Inail.

Ma la realtà giuridica non deve essere confusa con quella scientifica; infatti, tale sentenza è stata aspramente criticata.

La decisione della Corte d’Appello di Torino si è basata sulle perizie tecniche eseguite da una specialista in medicina legale e uno in medicina del lavoro ed è apertamente in contraddizione con anni di studi scientifici sull’argomento. L’ISS, l’OMS e la Fondazione AIRC sostengono da tempo che non vi siano prove per dimostrare una simile correlazione.
Esistono già misurazioni specifiche per il 5G?

Il 5G presenta alcune sfide per le misurazioni, alla luce delle caratteristiche specifiche, come il beam forming: il segnale è indirizzato specificamente al dispositivo dell’utente e non viene irradiato in un’area vasta. Ma gli enti preposti alla verifica preventiva e post-installazione, come l’Arpa, sono già preparati.

Innanzitutto, in questa prima fase di distribuzione delle reti mobili di quinta generazione, le antenne 5G non includono ancora il beam forming dinamico, cioè che segue il dispositivo dell’utente, bensì sfruttano un beam forming statico. Per tale ragione, le misurazioni dell’intensità dei campi elettromagnetici delle stazioni radio base viene eseguita nel punto di massima intensità come accade per le antenne 4G.

“Nel momento in cui l’applicazione della tecnologia 5G sarà completata e il beamforming sarà dinamico – ha spiegato recentemente Arpa Emilia-Romagna – bisognerà considerare un fattore correttivo sulle potenze in antenna per tener conto del fatto che l’esposizione in un determinato punto dello spazio si ha solo in presenza di richiesta e sarà comunque diretta funzione del numero di utenti.”

Le onde elettromagnetiche riscaldano il corpo umano. È vero?

Il principale meccanismo di interazione tra le radiazioni da radiofrequenze e il corpo umano è il riscaldamento dello strato più superficiale. “I livelli delle radiofrequenze delle attuali tecnologie implicano un aumento della temperatura del corpo umano trascurabile”, avverte però l’OMS.

Lo stesso parere viene riassunto dalla Fondazione AIRC. “Il principale effetto biologico della penetrazione delle onde elettromagnetiche nel corpo umano è il riscaldamento. Tuttavia i livelli a cui siamo normalmente esposti sono troppo bassi per causare un riscaldamento significativo.”

Questo riscaldamento non è dannoso?

No. Le radiazioni si suddividono in ionizzanti (ossia che possono interagire con il DNA umano) e non-ionizzanti. In quest’ultima categoria rientrano le frequenze usate per il 3G, il 4G e il 5G, le trasmissioni televisive e radio e le trasmissioni satellitari.

I raggi X e i raggi ultravioletti del sole, invece, appartengono alle radiazioni ionizzanti e quindi sono nocive a lunghe esposizioni (si pensi ai danni alla pelle causati dall’eccessiva esposizione alla luce solare diretta senza protezione).

L’Agenzia di Protezione Ambientale statunitense (EPA) ha spiegato che “le radiazioni non ionizzanti non sono abbastanza forti da influenzare direttamente la struttura degli atomi o danneggiare il DNA”.
I movimenti “Stop5G” sono stati fermati in tribunale

Sul tema si è espressa anche l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) che, riassumendo i pareri autorevoli delle massime cariche sanitarie internazionali e la normativa italiana, ha chiarito che non ci sono rischi per la salute collegati al 5G.

I Comuni stanno bloccando le antenne 5G. Perché?

Tanti comuni in Italia stanno vietando l’installazione delle antenne senza alcuna giustificazione vera e propria: anziché spiegare ai cittadini che non vi sono rischi, assecondano il timore percepito, generando ulteriore confusione sul tema.

La richiesta dei movimenti “no 5G” è stata respinta da una recente decisione del tribunale dell’Aja nei Paesi Bassi. La sentenza ha stabilito che non vi siano motivazioni sufficienti per fermare l’installazione di nuove antenne. Il gruppo Stop5GNL è stato condannato a risarcire le spese legali per il processo.

Successivamente, il DL Semplificazioni ha chiarito le possibilità dei sindaci: possono stabilire dove far installare le antenne 5G, ma non vietarle interamente sul territorio comunale fintanto che rispettano i limiti di emissione.
Il 5G non può essere fermato con il principio di precauzione?

Il principio di precauzione è una politica di condotta che vale per la salute e l’ambiente, qualora non vi siano sufficienti evidenze che dimostrano che una data tecnologia sia sicura. Proprio al principio di precauzione in vigore nell’Unione Europea si aggrappano i comitati che vogliono bloccare l’installazione delle antenne 5G; anche i Comuni italiani che hanno emesso le ordinanze di divieto hanno usato lo stesso appiglio.

La sentenza della corte dell’Aja che ha rigettato la richiesta del gruppo Stop5GNL chiarisce cosa voglia dire principio di precauzione e perché non possa fermare il 5G. “Il principio di precauzione non significa lottare per un cosiddetto rischio zero, nel senso che è necessario evitare qualsiasi rischio per la salute umana e l’ambiente. Al centro del principio di precauzione c’è la necessità di identificare e valutare i rischi per l’uomo e l’ambiente in modo strutturato e nel modo più completo possibile, prima di adottare le misure più appropriate.”

Per quel che riguarda il 5G e più in generale i campi elettromagnetici, il giudice ha rilevato che il controllo, da parte dello Stato, del rispetto delle linee guida dell’ICNIRP sul territorio nazionale sia già di per sé un’applicazione del principio di precauzione. Allo stesso modo uno Stato rispetta il principio di precauzione “conducendo regolarmente nuove ricerche su nuove intuizioni sugli effetti potenzialmente dannosi delle onde elettromagnetiche e promettendo di agire di conseguenza.”

Inoltre, come abbiamo spiegato, le frequenze usate dal 5G sono già note e i loro effetti sulla salute conosciuti. Di conseguenza, il principio di precauzione non può fermare il 5G: sarebbe come applicare la stessa politica cautelativa alle auto elettriche perché sono “nuove”.
L’ipersensibilità ai campi elettromagnetici esiste davvero?

Non è mai stata dimostrata. Riguardo all’ipersensibilità ai campi elettromagnetici (nota anche con la sigla inglese EHS, ossia Electromagnetic hypersensitivity), gli studi hanno ipotizzato un possibile effetto nocebo.

“Per esempio, sebbene le persone – scrive Polichetti dell’ISS – riferiscano i sintomi quando sanno di essere esposte a CEM RF (campi elettromagnetici a radiofrequenza, ndr), una volta che siano messe in atto le appropriate procedure di doppio cieco, in modo che né il paziente né lo sperimentatore sappiano se sia presente esposizione a CEM RF, l’effetto scompare”.

In sintesi, “non vi sono evidenze che disturbi ed esposizione siano effettivamente correlati.”

È vero che il 5G può fare male agli uccelli?

No, non ci sono prove che dimostrano che i campi elettromagnetici possano danneggiare gli animali.

“Le onde sopra i 10 MHz emesse dalle antenne (include le celle telefoniche) non fanno male agli uccelli” ha riassunto Joe Kirshchvink, biofisico al California Institute of Technology.

A febbraio, durante un diluvio a Roma è caduto un albero in viale del Policlinico. Immediatamente dopo, nei pressi di tale albero sono stati rivenuti alcuni uccelli morti: essi avevano fatto il nido sull’albero e l’incidente ne ha provocato la morte.

Eppure, nel vedere le immagini degli uccelli a terra senza vita, alcuni hanno partorito correlazioni con il 5G, estrapolando dal contesto (il maltempo) immagini e video dell’accaduto e spacciando la morte degli animali come una conseguenza dell’installazione delle antenne.

Simili teorie sono apparse anche in Olanda. A novembre 2018, Erin Elizabeth, nota complottista, aveva sparso la voce che a seguito di un test sulla rete 5G a L’Aia fossero morte dozzine di uccelli. Di fatto, però, in quella zona non ci fu alcun test sul 5G né, al tempo, era presente un’antenna per le reti mobili di quinta generazione. In compenso, la municipalità della città olandese indagò per avvelenamento degli animali.

Potrebbe interessarti anche...

No comment yet, add your voice below!


Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *