Articolo di Franco Battaglia, NicolaPorro.it
Vent’anni fa, quando gli organi d’informazione d’ogni ordine e grado, in combutta coi Gretini ante litteram di allora, allarmavano sull’elettrosmog che, a lor dire, favoriva le leucemie infantili, il Giornale fu l’unico a denunciarne l’inesistenza. Tutto cominciò quando – allarmato anche io come tutti – volli indagare il caso, visto che avevo una bimba di pochi anni. Mi ci volle un’ora di lettura della letteratura scientifica per rendermi conto del colossale – chiamiamolo così – abbaglio.
Telefonai al Corsera, mi presentai per quello che ero, cioè professore al Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tre, e gli proposi un articolo sull’elettrosmog – si voleva chiudere Radio Vaticana e interrare i cavi della luce, rammentate? «Come no, professore, è l’argomento del giorno… ma mi raccomando non sia troppo tecnico… sa, i nostri lettori… Ma piuttosto… cosa vuol scrivere?» «Che l’elettrosmog non esiste». «Ah no, allora non c’interessa». Riprovai con La Stampa e con Repubblica: stessa conversazione. Trovai la cosa curiosa, visto che avrei portato un po’ di rassicurazione su un tema di cui si era allarmati tutti i santi giorni. Provo col Giornale – mi dissi – e se non va torno a dedicarmi alle mie cose.
Il Giornale, come sempre fuori dal coro, pubblicò. Ne seguì un putiferio, perché dette la forza al ministro alla Salute Umberto Veronesi – che di leucemie e tumori ci capiva – di non firmare le stupide leggi predisposte dal governo di cui faceva parte. Da un lato,cominciava la mia collaborazione, mai interrotta, col Giornale; dall’altro, lo scandalo dell’inesistente elettrosmog venne a galla e, per fare breve una storia lunga, quale Direttore del Comitato scientifico dell’Agenzia nazionale protezione ambiente, cioè consulente del ministro all’Ambiente d’allora (che era il compianto Altero Matteoli), convinsi il nuovo governo a deporre la pietra tombale su quell’inesistente inquinamento. Con buona pace di Verdi, Legambiente, Corsera, Stampa, Repubblica, tiggì vari, insomma di quella congerie di soggetti il cui pensiero coincide con quello, senza dubbio interessante da studiare come caso clinico, della piccola Greta Thunberg. Naturalmente, come voleva la scienza, a distanza di vent’anni non si registra, in Italia come nel mondo, alcun aumento di alcuna delle patologie che l’esposizione alle onde elettromagnetiche avrebbe comportato, come paventavano i Gretini di allora.
A quanto pare, ogni tanto le pietre tombali si sollevano e gli zombie danno vita ai cadaveri. Ed è quel che sta succedendo all’elettrosmog, in seguito a quella potenzialmente meravigliosa nuova tecnologia che è lo standard 5G. Essa consentirà aumentate velocità e capacità di trasmissione di dati. Insomma, il mondo va avanti, grazie a Dio. Andrebbe avanti, se non ci fossero i Gretini, che per qualche misteriosissima ragione lo vorrebbero fermo; e non a oggi, ma ad un presunto migliore tempo passato che si rifiutano di precisare. Comunque sia, ecco i loro argomenti sul tema.
1. «La 5G è una nuova tecnologia, della quale nulla si sa, e quindi urge moratoria». L’argomento è insussistente. La tecnologia è nuova, ma l’agente presunto inquinante è, per così dire, vecchio, e i suoi effetti sono noti da decenni grazie a decine di migliaia di studi. Il soggetto scientifico accreditato e deputato a suggerire i limiti d’esposizione è la Icnirp – Commissione internazionale sulla protezione dalle radiazioni non-ionizzanti, quali appunto sono le radiazioni usate nella telefonia mobile e nella trasmissione radio-televisiva. In particolare, la Icnirp ha redatto già dal 1998 (e aggiornate nel 2020) le linee-guida per la banda di frequenze 0.1–300 GHz (gigahertz). La tecnologia 5G lavorerà su tre bande di frequenza: 0.7, 3.7 e 26 GHz, le prime due delle quali sono già utilizzate (dalle Tv e dalla tecnologia 4G), mentre la terza non è ancora utilizzata. In ogni caso, finché l’esposizione – qualunque sia la tecnologia usata – rimane inferiore ai limiti suggeriti dalla Icnirp, si può stare tranquilli che nessun danno alla salute può concepibilmente derivare.
2. «26 GHz è una frequenza (e quindi un’energia) superiore alla frequenza dei circa 4 GHz usata dallo standard 4G». La cosa è irrilevante: la frequenza delle radiazioni solari, cui tutti noi siamo esposti – e con intensità 100 mila volte maggiore – è superiore a 100 mila GHz! E 26 GHz è ben entro la banda 0.1–300 GHz delle linee-guida della Icnirp. Di più: alla aumentata frequenza corrisponde un potere penetrante minore, tant’è vero che i limiti di esposizione suggeriti dalla Icnirp sono più restrittivi per la frequenza di 4 GHz che per la frequenza di 26 GHz. Nel caso poi del nuovo standard 5G, esso comporta maggiore collimazione dell’onda elettromagnetica tra soggetto trasmittente e soggetto ricevente, senza necessità che gli altri soggetti siano esposti, come accade con gli standard inferiori. Insomma, con la nuova tecnologia si è meno esposti che con le precedenti.
3. «La Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato le onde elettromagnetiche dalle antenne di telefonia mobile e radiotelevisive tra gli agenti “possibili cancerogeni”». La cosa, però, è solo rassicurante! Infatti, quando la Iarc studia il potenziale oncogeno di un qualche agente, alla fine dello studio lo inserisce in uno di quattro gruppi: cancerogeno, probabilmente cancerogeno, possibilmente cancerogeno o non-classificabile. Si noti che non esiste (né, in omaggio al metodo scientifico, può mai esistere!) alcun gruppo di agenti “non cancerogeni”. Allora, per meglio apprezzare il significato di appartenenza di un agente al gruppo dei “possibilmente cancerogeni” (come le radiazioni in parola), giova notare che nello stesso gruppo vi sono i seguenti agenti: estratto di aloa vera, vegetali in salamoia, acido caffeico (per chi non lo sapesse, abbondante nel propoli oltre che in cicoria, carciofi, piselli, fragole), nichel (cioè monete da 1, 2 e 5 centesimi), lavoro di barbiere, parrucchiere, pompiere, tipografo, lavoro nelle lavanderie a secco o in industrie tessili. Giova anche sapere che nel gruppo dei cancerogeni certi vi sono, oltre che il fumo di tabacco e le bevande alcoliche, anche l’esposizione al sole o alle lampade abbronzanti e la pillola anticoncezionale. In definitiva, che un agente sia stato classificato “possibilmente cancerogeno” significa che non è stato classificato né cancerogeno e neanche probabilmente cancerogeno. Cioè significa che non è cancerogeno, anche se la scienza, per suo proprio metodo, non può dirlo – né ora né mai – così come lo sto dicendo io.
4. «Alcuni studi suggeriscono rischi per la salute». Il fatto è che il metodo scientifico ha natura probabilistica perché la logica della scienza è la teoria della probabilità: l’indagine scientifica è progettata in modo che, inevitabilmente, v’è sempre una piccola percentuale di risultati che sono difformi dalla conclusione che può trarsi dall’analisi della totalità delle risultanze scientifiche. Citare quei singoli studi è pertanto fuorviante. Come detto, l’analisi della globalità delle risultanze scientifiche, nel caso in parola, è effettuato dalla Icnirp, la quale ha già considerato, nell’emanare le proprie linee-guida, anche i lavori di quegli studi che, presi singolarmente, susciterebbero allarme.
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