Articolo di Massimiliano Di Marco, Dday.it
Il 5G può fare male alla salute? Il Comune di Schio ha organizzato con il Distretto di Scienza e Tecnologia un dibattito approfondito e neutrale per comprendere tutte le sfaccettature di questa questione.
Il 5G è una tecnologia pericolosa oppure gli attuali limiti normativi vigenti in Italia e in Europa tutelano le persone? È partito da qui il dibattito che il Comune di Schio ha realizzato in collaborazione con il Distretto di Scienza e Tecnologia.
Il confronto, moderato dal giornalista Luca Fabrello, ha dato spazio all’eterogeneità di voci sull’argomento, concentrando l’attenzione sulle eventuali ripercussioni sulla salute del 5G.
Al dibattito hanno partecipato:
Antonio Capone, docente del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano Paolo Ravazzani, direttore del Consiglio Nazionale delle Ricerche Patrizia Gentilini, oncologa dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente Fiorella Belpoggi, direttrice del centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” del Ramazzini Carmela Marino, che lavora per l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie ed è membro del Comitato Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP)
“Ciascun ospite, con generosità comune ma competenze ed esperienze diverse, ha contribuito a donare alla serata contenuti di prim’ordine e vero spessore di confronto scientifico” ha detto Fabrello. “Con derivate anche decise, ma sempre all’insegna di massima educazione e rispetto.”
L’appuntamento completo è disponibile su YouTube e dura oltre 3 ore e mezza. Per tale ragione, DDAY ha deciso di estrarre i momenti salienti, dopo aver informato gli organizzatori dell’evento, per proporre un filmato più sintetico ma che rispettasse la neutralità della discussione.
Alzare i limiti di emissione in Italia: sì o no?
Il dibattito ha permesso di costruire un confronto neutrale che ha affrontato tutti gli aspetti attorno alla domanda: il 5G può fare male alla salute?
Lo spunto iniziale è stato il limite vigente per le emissioni dei campi elettromagnetici. Attualmente in Italia è presente un limite di 6 V/m nelle aree dove c’è un maggiore passaggio di persone, quindi quello più sensibile. Quello suggerito dall’ICNIRP è di 61 V/m; alcuni Paesi europei, come Francia e Belgio, propongono valori intermedi.
Il piano Colao ha suggerito l’idea di alzare i limiti in vigore in Italia per poter accelerare lo sviluppo delle reti 5G, pur rimanendo sempre nella soglia precauzionale stabilita in Europa.
Per Marino, “sicuramente i limiti europei o che la Commissione Europea ha sposato ci mettono in una salvaguardia”. La stessa Belpoggi, una delle voci più critiche, si è detta rassicurata con gli attuali limiti, tra i più bassi al mondo, ma è contraria all’idea di alzarli per avvicinarli a quelli suggeriti dall’ICNIRP.
Capone ha evidenziato quanto un aumento ragionato sui limiti di emissione dei campi elettromagnetici non incrementerebbe il rischio per la salute, ma servirebbe unicamente a sostenere l’accelerazione dello sviluppo delle reti mobili di quinta generazione; in caso contrario, l’Italia rischierebbe di restare indietro.
“Se con i sistemi precedenti gli operatori hanno già saturato il limite, l’alternativa che hanno se devono installare il 5G è o spegnere i sistemi precedenti, cosa che non possono fare, o mettere l’antenna da un’altra parte e quindi aumentano il numero delle antenne” ha sottolineato Capone. “Il sistema Paese Italia spenderà di più per dotarsi della tecnologia del 5G. È stato stimato nell’ordine di 10-15 miliardi di euro”.
Uno studio contrario è sufficiente?
Ulteriori valutazioni sono state fatte dai relatori sulla questione degli studi scientifici.
Belpoggi, in particolare, ha sostenuto che lo studio del Ramazzini e quello del National Toxicology Program (NTP) statunitense siano complementari e forniscano, quindi, un quadro essenziale per capire i rischi derivanti da un’eccessiva esposizione ai campi elettromagnetici.
“Il mio studio è stato replicato perché l’NTP ha ottenuto gli stessi risultati. I report dell’NTP sono stati usati dall’IARC e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità” ha sottolineato Belpoggi. “Il mio studio è stato replicato: abbiamo visto lo stesso tipo di tumori a diecimila chilometri di distanza non sapendo l’uno dell’altro e questo mi conforta”.
“Noi per replica – ha controbattuto Marino – intendiamo uno studio esattamente uguale. Lo studio dell’NTP e del Ramazzini non si sovrappongono, ma sono quasi contigui. La replica è lo stesso sistema espositivo, con le stesse dosi: il tempo di esposizione, l’intensità di campo.”
“Non bastano neanche due studi” è intervenuto Ravazzani. “Uno studio che trova un risultato, qualunque esso sia e se fatto bene, è sicuramente uno studio interessante, che va tenuto in considerazione. Non vuole dire però che sulla base di un solo studio, prendo una decisione. La scienza non è un’opinione: è basata sui fatti e sulla sommatoria dei fatti condivisi. Questi studi vanno a sommarsi a quelli di tutti gli altri studi”.
La possibile rivalutazione dell’IARC
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito una nuova discussione sulla cancerogenicità della radiazioni da campi elettromagnetici nel suo programma nei prossimi anni. “Davanti al fatto che mancano delle certezze sull’assoluta innocuità di queste radiofrequenze e, viceversa, ci sono studi che sollevano dei dubbi, il buon senso impone che ci si fermi e si continui a studiare” ha sostenuto Gentili.
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