Articolo di Mila Fiordalisi, Corcom
La CccEu lancia l’allarme sull’eventuale esclusione dei vendor: “Creati in Europa oltre 300mila posti di lavoro. Si rischiano pesanti conseguenze, nonché una frenata allo sviluppo della quinta generazione mobile”
“È inaccettabile suddividere le imprese in Europa in gruppi Ue o extra-Ue e utilizzare questo criterio per l’accesso al mercato. E prendere di mira fornitori di tecnologia da paesi terzi giudicandoli come ad alto rischio per la sicurezza”: la Camera di commercio cinese Ue (CccEu) in una dura nota esce allo scoperto a seguito dell’inasprimento delle posizioni governative nei confronti dei player cinesi nella partita 5G.
Huawei e Zte hanno creato circa 20.000 posti di lavoro diretti in Europa che salgono a 300.000 considerato l’indotto, puntualizza la CccEu: “Siamo preoccupati sulle conseguenze che l’approccio alla sicurezza 5G potrà avere sul mercato e sull’ecosistema degli investimenti. Siamo orgogliosi delle molte eccellenti multinazionali cinesi che contribuiscono alla prosperità globale offrendo ampie opportunità di occupazione. E l’Europa potrà andare lontano sul 5G anche grazie alle partnership con la Cina e agli investimenti in ricerca e sviluppo generando competitività, promuovendo sostenibilità e generando valore nella trasformazione digitale”.
È su Regno Unito e Italia che sono al momento puntati i riflettori. Stando a indiscrezioni il Regno Unito annuncerà il 14 luglio la propria decisione definitiva e l’orientamento sarebbe quello di un replacement di tutte le apparecchiature Huawei entro il 2025 dalle reti mobili britanniche. Sempre secondo indiscrezioni Huawei avrebbe chiesto un incontro con il primo ministro Boris Johnson quantomeno per posticipare la deadline. Il governo britannico starebbe inoltre intensificando gli sforzi per persuadere gli altri membri di Five Eyes, l’alleanza nel settore dell’intelligence fra Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti, a collaborare nella ricerca di alternative industriali a Huawei.
BT e Vodafone hanno già dichiarato che sarebbero necessari dai 5 ai 7 anni per “rifare” le reti e che l’operazione costerebbe svariati miliardi di euro. Le due compagnie evidenziano inoltre che potrebbero generarsi “blackout” per i consumatori considerato che le infrastrutture Huawei sono presenti nelle reti 2G, 3G e 4G.
In Italia Tim ha deciso di escludere Huawei dalla gara per la core network 5G, una decisione “industriale” e non politica, hanno fatto sapere fonti vicine all’azienda. Ma è evidente che non ci sia politicamente compattezza sul da farsi e che l’esecutivo stia prendendo tempo. Il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha appena dichiarato che “sul 5G occorre una normativa europea”. In merito alla posizione americana – Trump ha più volte chiesto agli “alleati” di bannare i cinesi dalle reti – Di Maio ha ribadito che “l’Italia ha approvato in due anni tre decreti legge che riguardano il rafforzamento della sicurezza sul 5G e del perimetro di sicurezza nazionale. Oggi l’Italia ha, credo assieme alla Francia, la normativa più rigida sul 5G. Ma sarebbe necessaria un’iniziativa europea che renda omogenee le misure di sicurezza sul 5G e sulle telecomunicazioni”. Resta dura la posizione anti-Cina da parte di Forza Italia: “Dare la rete 5G in mani cinesi sarebbe come cedergli la Banca d’Italia: non possiamo farlo”, ha detto il vice presidente Antonio Tajani- “L’idea di un mercato europeo in cui far fiorire i fornitori tecnologici europei è nostro interesse e nostro obiettivo”.
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