Articolo di Francesco Bechis, Le Formiche
L’ex sottosegretario al Mise in quota Lega spiega perché Salvini e il partito sbagliano a protestare contro la Cina a Hong Kong, le manifestazioni peggiorano solo il clima. Ecco cosa può fare l’Italia per favorire una de-escalation
Guai a chiamarlo “il cinese”, Michele Geraci non sopporta questo nomignolo. Non perché ce l’abbia con la Cina, anzi, il contrario. Ma tiene anche a precisare che lui è anzitutto italiano, che anche negli Stati Uniti lo cercano e apprezzano (insegna alla New York University, a Shanghai), che questa nomea, in fondo, è inventata dai media. Allora perché, gli chiediamo noi, è tanto infastidito dalla bagarre montata dalla Lega di Matteo Salvini contro la Cina per difendere Hong Kong? Pensare che, solo un anno fa, lo stemma di quel partito campeggiava sul vestito di Geraci, fieramente sottosegretario al Mise in quota Lega nel governo gialloverde.
Michele Geraci è l’ultimo cinese del Carroccio…
Michele Geraci è l’ultimo vero sovranista, nel senso che si preoccupa degli interessi dell’Italia, come farebbe chiunque, e per salvaguardarli in questi mesi cerco da prof di riportare il dibattito sul binario analitico e razionale e, dove utile, di mettere toppe laddove la poca analisi e le troppe parole hanno creano fraintendimenti. Il silenzio, a volte, aiuta a limitare i danni.
Mi scusi, ma lei non era leghista?
Faccio una battuta: è la Lega è che è stata geraciana, nel senso che le mie idee sul commercio, la cautela sul liberismo sfrenato e il mio approccio analitico si sposavano bene con la filosofia delle Lega. Io non sono iscritto al partito né sono parlamentare, ma ho risposto con grande entusiasmo alla richiesta di un supporto tecnico di cui sono ancora riconoscente a Matteo Salvini, Bagnai, Borghi, Zanni ed altri che hanno creduto nelle mie capacità. E penso che anche molti italiani dovrebbero ringraziare la Lega per aver portato al governo le competenze mie e degli amici sopracitati.
Eppure, giuro di averla vista con la spilla di Alberto da Giussano addosso…
Quando ero al governo l’ho anche indossata. Un segno di cortesia verso Salvini, per la fiducia che mi ha dato. E anche per chiarire le fake news della stampa che per riempire le pagine e creare zizzanie fittizie continuavano a dire “Geraci è in quota Cinque Stelle”. Cosa del resto verosimile perché avrebbe anche potuto essere Di Maio a chiamarmi due anni fa, ma così non è stato, credo non mi conoscesse molto al suo tempo.
Con lui andava d’accordo?
Durante il periodo al governo abbiamo lavorato bene insieme al Mise e mi spiace per il Paese che il nostro operato sulle politiche economiche e commerciali sia stato interrotto la scorsa estate. Ma ero comunque in quota Lega, un po’ come tanti altri, in quel governo in posizioni tecniche, da Tria a Bussetti a Savona a Barra Caracciolo, ognuno in una “quota” senza essere di nessun partito.
Si sente ancora con Matteo Salvini?
Sì, e mi sento spesso anche con vari esponenti della Lega, ma anche con altri rappresentanti della maggioranza odierna, come credo sia normale. Come ho detto, il mio obbiettivo è fare gli interessi dell’Italia, e resto a disposizione del Paese, un tecnico prestato alla politica. Se servono, i miei consigli li do anche a Conte e ad altri ministri. Poi magari non sempre li ascoltano, forse c’è un’eccessiva presunzione di sapere, ma ciò mi porta, semmai, a moltiplicare il mio sforzo affiché le analisi tornino al centro delle decisioni politiche.
Con la Lega in politica estera non vi trovate granché. In una recente intervista a Formiche.net Salvini ha perfino chiesto un processo di Norimberga per la Cina…
Conoscete benissimo la veemenza comunicativa di Salvini. Credo molte di queste dichiarazioni, siano mirate a cercare consensi, e allora ci può stare la sparata, per far vedere che si è vicini al popolo, quindi questo tipo di comunicazione ha un suo ben definito scopo. Se invece vuole servire a farsi belli davanti a Trump o ad altri avversari della Cina, credo ci siano altri modi più efficaci, come ho detto già settimane fa. Come dico da sempre, il detto “il nemico del mio nemico è mio amico” non funziona in diplomazia.
Allora cosa funziona?
Gli americani non sono fessi e comprendono bene che sono messaggi di politica interna, diretta “ai propri elettori”, come del resto fa benissimo lo stesso Trump quando grida contro Cina, all’Europa, a Airbus etc. Tanto più che Trump sa che la maggioranza, non l’opposizione, decide la politica estera. Io raccomando cautela e non farsi trascinare in questo gioco; fanno bene i leader tedeschi e i francesi che, giustamente, usano il linguaggio della diplomazia e le critiche dirette le lasciano fare, astutamente, ai think tank ai professori. E, detto tra noi, in America dove ho lavorato e studiato per tanti hanno sanno che Geraci, descritto qua da noi (e solo qua) come “amico della Cina”, è un ottimo amico loro, proprio perché ben comprendo la Cina e posso essere utile anche utile come mediatore.
Ha una certa stima di sé…
Senta, possiamo smettere di fare i finti modesti, visto l’andazzo che c’è in giro in Italia: lei conosce qualcuno in Parlamento che può fare questo mestiere meglio di me? A Washington, a New York e Boston, dove sono di casa, sono sempre ben accolto senza dover sparare a zero contro nessuno. Parliamo di commercio, numeri, analisi anche complesse, e la competenza è sempre ammirata e stabilisce un rapporto duraturo, lì dove esiste la cultura delle università e think-tank al servizio del governo, non come da noi. Lo stesso stile che ho sempre usato anche nei dibattiti con altri leaders; alla cena con Putin, dopo un’ora di Tolstoy e calcio ho dovuto prendere le redini del dibattito e riportarlo al livello adeguato.
Addirittura. Comunque, c’è un vecchio detto che recita: “Amici di tutti, amici di nessuno”. Sembra adatto anche alla politica estera, o no?
Non siamo amici di tutti, io sono amico dell’Italia, e voglio il suo bene. Non cerco voti, non mi servono e quindi lavoro in modo diverso. Credo di sapere due, tre cose di diplomazia e relazioni internazionali e so che il primo passo per curare i rapporti diplomatici del proprio Paese è non litigare con nessuno e mantenere una linea di politica estera non turbata da questioni interne. Non è che siccome il ministro Di Maio ha rapporti con la Cina, come è ovvio e normale e come fanno tutti i ministri degli esteri europei, vada attaccato ad personam. Questo lo trovo dannoso, perché poi chi paga sono le aziende che vogliono fare business.
Non è anche questa idea dell’amicizia che ha creato il cliché dell’Italia come alleato inaffidabile, voltagabbana?
L’Italia ha un suo Dna preciso. È un Paese del Mediterraneo, un alleato atlantico affidabilissimo, ma ha anche le sue particolarità. Si è sempre trovata a metà fra la Nato e la Cortina di ferro, questo a tratti l’ha resa vulnerabile. Per chi fa politica estera, e tanto più per chi fa politica commerciale, è però fondamentale tessere una rete di rapporti bipartisan, in modo che il mondo capisca il nostro posizionamento senza brusche variazioni dettati dai sondaggi. Che disastro questi sondaggi settimanali, occupano tempo e risorse preziose.
Torniamo alla Cina. La vicenda di Hong Kong chiama in causa i diritti umani. Si può davvero far finta di nulla?
Premesso che qualche dubbio sul rispetto dei diritti umani in Italia credo lo abbiano anche gli italiani che hanno letto le notizie degli ultimi giorni o chi ha subito dei reati e vede i colpevoli in giro, perché non dimentichiamo esistono anche i diritti umani delle vittime. Una grande massima della politica estera è non intromettersi mai nelle faccende interne di altri Paesi, perché equivale a una quasi-dichiarazione di guerra, uno scontro tout-court. Come se arrivasse Modi dall’India a chiedere l’indipendenza del Südtirol.
Bene. Allora concretamente cosa si può fare?
A porte chiuse, una mediazione con il governo cinese e i manifestanti, possibilmente senza darla in pasto ai media, è molto più utile di tante grida, che sortiscono l’effetto opposto. Chi conosce la Cina sa che ciò sarebbe più utile. Kissinger andava in Cina di nascosto, all’epoca ovviamente non c’erano social.
Geraci, va bene il metodo, ora entriamo nel merito. È stato violato un accordo internazionale.
Credo che su questo punto ci sia molta confusione. Anzitutto, ci si dimentica con troppa facilità che Hong Kong era comunque destinata a tornare nella madrepatria nel 2047, rinunciando così a tutte le forme di trattamento speciale di cui ha goduto, nessuno nel ’97 si strappò le vesti all’idea. Si accettò che Hong Kong sarebbe diventata identica alla Cina. Quindi l’introduzione della nuova legge è un anticipo di quello che sarebbe comunque successo, ma non annulla tutti gli altri trattamenti speciali di cui HK continuerà a godere.
Ecco, torniamo al punto di prima. Ventisette anni di anticipo non sono uno scherzo.
Certo, in Gran Bretagna pensavano che ciò avvenisse un po’ più in là ed è una cosa importante che sia stato anticipato. Poi bisogna anche ricordare che le proteste di Joshua Wong e degli altri manifestanti si sono forse spinte al di là della semplice salvaguardia dello status quo speciale, ma hanno cominciato a parlare, più o meno velatamente di indipendenza, libertà etc., cose che ovviamente non erano nel trattato.
Si chiama libertà di opinione.
Un conto sono le manifestazioni di dissenso anche contro il governo centrale che sono sempre state ben tollerate, una diffusa libertà di stampa, come chiunque sia stato a Hong Kong può confermare, un altro il secessionismo. Ecco, da ‘sovranista’ anch’io mi preoccuperei di spinte secessioniste. Temo che questo impeto giovanile di alzare la posta abbia costretto la Cina a prendere questa decisione che, credo, avrebbe voluto rimandare nel tempo. Situazione lose-lose.
Quindi non si fa nulla?
Non c’è come risolverle. Peraltro, fatto poco noto, secondo gli accordi internazionali di due secoli fa, Londra non era tenuta a restituire la parte principale di Hong Kong, ma soltanto i “nuovi territori”, un’area meno abitata e meno affluente. L’isola di Hong Kong e la penisola di Kowloon, che rappresentano quello che da noi si pensa di HK, luci, grattacieli, Victoria Peak, il canale e la spola della Star Ferry, sarebbero potuti rimanere possedimenti britannici. Ma la Gran Bretagna, negli accordi dell’84 volontariamente decise di restituire alla Cina anche queste aree, forse per timore di trovarsi in una situazione stile Falkland dove due anni prima, nel 1982, dovette mostrare i muscoli. A Londra avevano già capito la differenza tra la Cina e l’Argentina.
Bene. Qui però non si tratta solo di cavilli legali. La nuova legge processa i reati di opinione. Questa non è democrazia.
Non è democrazia come la intendiamo noi, ne è intenzione che lo sia, questo lo sappiamo bene, ma come dicevo ognuno si sceglie il proprio modo di operare. E la stragrande maggioranza dei cinesi è contenta così. Quando abbiamo provato a esportare la nostra democrazia non è sempre andata bene, giusto? Del resto, chi sa la storia, ricorderà che Hong non è mai stato il più limpido esempio di democrazia. Quando era una colonia, per 150 anni, era sotto il dominio della Regina, e non si votava.
Centinaia di manifestanti arrestati nel giro di pochi giorni. Geraci, le sembra davvero normale?
La Cina, purtroppo, è stata costretta a farlo. Ma non tutti gli arresti sono legati alla nuova legge. Le proteste, che all’inizio potevano anche avere un loro appeal, si sono protratte a lungo e trasformare una sana richiesta di mantenimento delle regole in un movimento secessionista. Quando chiedi l’indipendenza dalla madre terra apri un conflitto sulla sovranità, e non c’è Paese al mondo che lasci fare. A Barcellona ne sanno qualcosa…
A Barcellona non censurano i giornali, non incarcerano chi attacca il presidente.
È chiaro che non sto paragonando la Spagna alla Cina, non mi faccia rispondere in stile social! Ma quando la Catalogna ci ha provato ha capito che risposta avrebbe avuto da Madrid. Poi chi vuole criticare Sanchez sulle Ramblas lo può ben fare ad alta voce.
Appunto.
Alcune delle clausole che più fanno discutere della nuova legge di Hong Kong, a mio parere, non saranno usate, almeno non nell’immediato, ma lo saranno certamente nel 2047 quando non ci sarà differenza con la madrepatria. Adesso la preoccupazione è rivolta alle istanze secessioniste. Giornali come il South China Morning Post potranno continuare a criticare la politica commerciale o la politica del figlio unico del governo cinese, ma non marciare sulle rivendicazioni separatiste.
Sempre di un bavaglio si parla.
Chiarisco: non deve piacere a me o a lei, ma va preso atto che le cose in Cina funzionano in altro modo e si risolvono anche in altro modo, ripeto le proteste mediatiche o le frasi forti usate di recente non servono a nulla. Infatti, è stato proprio un anno di proteste, fatte ad alta voce che ha fatto precipitare la situazione ed ha forzato la Cina a intervenire. Se si accontentavano, magari guadagnavano del tempo.
Chiudiamo con un’altra questione che riguarda l’Italia e la Cina da vicino: il 5G. Ora anche Johnson è pronto a fare un passo indietro e vuole escludere le aziende cinesi. L’Italia non rischia di rimanere isolata dai suoi alleati?
Aspettiamo, Jonhson è un furbastro, probabilmente farà un ban che però sarà efficace dopo n-mesi/anni, e si prende tempo per rivalutare, esattamente come ha fatto Trump che rimanda a settembre l’implementazione delle misure. L’Italia finora è stata impeccabile. Non ha detto no a Huawei e Zte, ma ha rafforzato il golden power e altri strumenti preventivi e credo il nostro governo deciderà sulla base di fatti, non di tweets da longitudine diverse.
Una decisione però va presa. Quale?
Prudenza, poche parole e studiare le cose è il mio consiglio. La decisione di Johnson è più politica che tecnica, e legata a doppio filo anche ai fatti di Hong Kong. Inutile porsi sullo stesso piano. L’Inghilterra può fare la voce grossa, noi no. Dobbiamo giocare insieme ai più grandi, o perdiamo in partenza. In questo momento, l’attendismo è una mossa strategica.
Non sembra che gli Stati Uniti la pensino allo stesso modo.
L’Italia si trova nel medioevo della tecnologia. Da noi il 5G è ancora fantascienza e invece va spinto, ci sono centinaia di aree bianche dove non c’è ancora il 4G o 3G o neppure “la linea”. Noi, ripeto, dobbiamo fare i nostri interessi, non quelli degli altri Paesi. Una volta tanto il ritardo gioca a nostro favore, non dobbiamo decidere nulla per adesso. Che lusso, guai a sprecarlo. Devo spezzare una lancia a favore di Conte e Di Maio che prendono tempo. Bravi. In questo caso, la prudenza è sintomo di intelligenza politica.
No comment yet, add your voice below!