Articolo di Mila Fiordalisi, CorCom
L’Italia adottò i dispositivi con 10 anni di ritardo a causa delle polemiche che portarono addirittura a sequestri degli apparecchi. Esattamente quel che sta accadendo oggi con la quinta generazione mobile. Con la drammatica differenza che il 5G può generare nuovo Pil già in questa delicata fase di ripresa.
ra il 1977 quando il Corriere dell’Informazione – così si chiamava il Corriere della Sera nel dopoguerra – pubblicava un articolo sul sequestro di 300 apparecchi televisivi a colori su iniziativa del Pretore di La Spezia. Obiettivo: valutarne i rischi sulla salute umana. Tant’è che fu affidato al Centro Elettronico dell’Università di Bologna e al Consiglio nazionale dell’energia nucleare di Roma il compito di analizzare i dispositivi. Il tutto a 10 anni dal debutto delle trasmissioni a colori in Francia, Germania e Inghilterra che inaugurarono la stagione nel 1967.
Quell’articolo del Corriere dell’Informazione sta rimbalzando sui social in questi giorni. E non a caso. La storia si sta ripetendo con il 5G. Oltre 500 fra ordinanze e misure dei sindaci italiani per bloccare l’installazione delle nuove antenne sull’onda delle fake news sui legami fra la tecnologia e la diffusione del Coronavirus e più in generale della dilagante disinformazione sul tema. Disinformazione di cui – spiace evidenziarlo – hanno dato prova, e continuano a darne, anche gli organi di informazioni accreditati contribuendo ad alimentare timori senza alcuna evidenza scientifica. Il ritardo che l’Italia scontò sulla tv a colori potrebbe dunque ripetersi con il 5G. Oggi però con effetti molto più gravi considerato che la quinta generazione mobile rappresenta un volano economico e che in questa delicata fase post-Covid 19 può essere la leva su cui fare forza per spingere il Pil nazionale consentendo la nascita di un ecosistema di prodotti e servizi fondamentale anche per generare nuovi posti di lavoro.
L’allarmismo che si è creato sul 5G peraltro non è nuovo nel mondo della telefonia mobile: alla soglia del debutto di ogni generazione mobile – quindi di decennio in decennio – si ripropone la questione dei pericoli da elettrosmog, un refrain persino noioso e che dimostra anche scarsa memoria storica e scarsa attenzione ai pronunciamenti di organismi internazionali sul tema dei pericoli per la salute umana. Le linee guida dell’Icnirp risalgono al 1998 e di fatto sono sempre le stesse perché nulla è cambiato da allora sul fronte delle emissioni elettromagnetiche da telefonia mobile. Nulla è cambiato nemmeno per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Commissione europea e gli istituti nazionali, nel nostro caso l’Istituto Superiore di Sanità.
E nulla è cambiato anche sul fronte politico: cavalcare l’onda della protesta popolare (nel caso specifico dei comitati anti-antenne) fa sempre gioco al politico di turno, soprattutto alla vigilia di tornate elettorali o semplicemente per accrescere il proprio consenso “social” – che ormai è tutta una questione di click e follower.
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