Articolo di Alberto Berlini, Today.it
Via libera della Commissione europea all’installazione di microantenne per la rete 5G: saranno molto più piccole di quelle cui siamo abituati e avranno limiti di sicurezza molto stringenti“
Antenne 5g, non servirà la autorizzazione preventiva: via libera della Commissione europea all’installazione di microantenne per la rete 5G a patto che rispettino i limiti – molto stringenti – fissati dalla legislazione comunitaria per l’esposizione alle onde elettromagnetiche.
Le microantenne “produrranno meno emissioni elettromagnetiche” – paragonabili a quelle del WiFi – e poiché utilizzeranno livelli di potenza inferiori creeranno livelli di esposizione inferiori rispetto all’infrastruttura 4G esistente. Al contempo l’implementazione della rete per la telefonia mobile di quinta generazione consentirà un aumento della copertura e velocità elevate di connessione.
Il regolamento attuativo sulle piccole antenne specifica le caratteristiche fisiche e tecniche delle microantenne per le reti 5G e mira a facilitare il dispiegamento della rete, attraverso un regime che consente l’esenzione da autorizzazioni, assicurando nel contempo che le autorità nazionali continuino a sorvegliare.
Le microantenne, osserva la Commissione, dovranno rispettare la protezione della salute delle persone, “rispettando i severi limiti di esposizione previsti nell’Ue che, per il pubblico, sono cinquanta volte più bassi delle soglie che le evidenze scientifiche internazionali suggeriscono possano comportare conseguenze per la salute umana”. Bruxelles spiega che le antenne di nuova generazione saranno “meno visibili (completamente integrate e invisibili al pubblico o, se visibili, occupano uno spazio massimo di 30 litri)”.
Come spiega Dario Prestigiacomo su EuropaToday la Commissione cita uno studio della Sfc Associated Ltd, i cui ricercatori sono, a dirla tutta, noti per le posizioni a favore del 5G.
Come funziona la rete 5G
Alle nuove generazioni mobili sono tipicamente assegnate nuove bande di frequenza e maggiore larghezza di banda spettrale per canale di frequenza (1G fino a 30 kHz, 2G fino a 200 kHz, 3G fino a 5 MHz e 4G fino a 20 MHz). Per 5G, acronimo di 5th Generation si indicano le tecnologie e gli standard di “quinta generazione” con prestazioni e velocità superiori a quelli della precedente tecnologia 4G. I sistemi 5G opereranno in Italia nelle bande di frequenza 694-790 MHz (sinora in uso alle emittenti TV e disponibili per il servizio 5G dal 1 luglio 2022), 3.6-3.8 GHz (frequenze molto vicine a quelle dei segnali di telefonia mobile LTE) e 26.5-27.5 GHz (già in uso per trasmissioni satellitari).
Per quanto riguarda le modalità di interazione dei segnali 5G con il corpo umano, si possono considerare due differenze significative rispetto agli altri segnali a radiofrequenza utilizzati nel campo delle telecomunicazioni:
la maggiore frequenza dei segnali (riguardante solo i segnali nella banda 27 GHz); la rapida variazione dei fasci che causa esposizioni a picchi di breve durata.
La maggiore frequenza del segnale è associata ad un assorbimento di energia nel corpo umano più superficiale rispetto a quello tipico delle frequenze più basse. Se a 900 MHz la profondità di penetrazione della radiazione è di circa 10 cm, a 10 GHz sarà di circa 5 mm. Questo significa che i tessuti esposti saranno solo quelli superficiali (la pelle e gli occhi). A queste frequenze non sono pertanto interessati dall’esposizione organi interni quali il cervello e il nervo acustico, già individuati in alcuni studi come organi bersaglio per l’esposizione ai campi elettromagnetici generati dai telefoni cellulari.
Come spiega Arpa Piemonte la maggiore efficienza della tecnologia 5G (maggiore velocità, minore tempo di latenza, possibilità di connettere moltissimi dispostivi) è ottenuta grazie a particolari tipologie di antenne (smart antennas) e al modo di codificare le informazioni nel segnale elettromagnetico. Le antenne intelligenti dei ripetitori 5G hanno un funzionamento molto innovativo: a differenza di quelle esistenti sinora, non trasmettono più un segnale di copertura continuo sul territorio, la cui distribuzione spaziale non varia nel tempo, ma attivano una sequenza di fasci, accesi per intervalli di tempo brevissimi, dell’ordine del millisecondo, che ruotano attorno all’antenna (beamsweeping), operando un po’ come la luce emessa da un faro. Quando uno di questi fasci rileva la presenza di un utente che ha bisogno di comunicare con il ripetitore, l’antenna genera un segnale specifico puntato verso l’utente (o il gruppo di utenti), che viene attivato solo per il tempo della comunicazione (beamforming). Questi fasci sono molto direttivi, cioè irradiano il segnale elettromagnetico in una zona di spazio molto limitata intorno all’utente che richiede il servizio.
Al momento, si sta sviluppando prevalentemente la rete 5G dedicata ai terminali mobili, che lavora sulla banda di frequenze intorno a 3.7 GHz. Per quanto riguarda le bande di frequenza più elevate (27 GHz), dedicate prevalentemente all’IoT (Internet delle cose), non c’è ancora un effettivo sviluppo di rete.
La banda a 700 MHz, disponibile a partire dal 2022, verrà dedicata a servizi 5G che dovranno garantire la copertura anche delle aree in cosiddetto digital divide, cioé in quei comuni italiani più svantaggiati per la ricezione dei segnali e, conseguentemente, per la fruizione dei servizi associati alle telecomunicazioni.
Il 5G fa male?
In relazione ad alcuni elementi del dibattito sulle novità introdotte dalla tecnologia 5G si possono fare le seguenti considerazioni:
gli impianti alle frequenze di 3.7 GHz, che vengono prevalentemente installati in questa prima fase di implementazione della tecnologia 5G, e gli impianti a frequenze di circa 700 MHz che verranno installati a partire dal 2022, emettono segnali che presentano frequenze analoghe a quelle già utilizzate da diversi anni nel settore delle telecomunicazioni. Tali impianti non rappresentano, quindi, una novità dal punto di vista della tipologia di segnale a cui siamo esposti. Diverso è il discorso degli impianti nella banda 27 GHz che sono frequenze a cui la popolazione non è stata esposta storicamente, in quanto gli impieghi nelle comunicazioni satellitari non causano esposizione ambientale; a sostegno dell’ipotesi di nocività delle esposizioni a segnali 5G vengono spesso citati due recenti studi, pubblicati nel 2018 dall’US National Toxicology Programme (NTP) e dall’Istituto Ramazzini di Bologna, riguardanti alcune evidenze di carcinogenesi in ratti da laboratorio esposti a radiofrequenze. Questi studi, in realtà, non sono stati condotti con segnali 5G ma con segnali a radiofrequenze tipici della tecnologia GSM (2G).“
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